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Il decollo dei tassi

Per ora non fa paura, ma fino a quando?

Nei primi mesi di quest'anno, nel momento di euforia Belle Époque per i vaccini, le previsioni di consenso per il 2021 vedevano una crescita straordinariamente elevata dell'economia globale e un'inflazione che se ne risaliva pigramente verso il 2 per cento in Europa e il 2.5 in America. Nonostante le stime di crescita esplosiva, i tassi di policy erano visti tranquilli per tutto il 2021, il 2022 e la prima metà del 2023 (molti ipotizzavano un lungo tapering da metà 2022 a inizio 2023 e il primo rialzo della Fed a fine 2023). Con queste premesse si ragionava su una rapida risalita dei tassi a lungo termine. Questa risalita, a sua volta, avrebbe moderato la rivalutazione delle borse. L'indice SP 500, che aveva iniziato il 2021 a 3700, era visto portarsi sopra 4000 (non da tutti), ma solo i più arditi si spingevano a ipotizzare 4200-4300.



Nessuna di queste previsioni si è rivelata corretta. Il Covid è ancora tra noi e i vaccini funzionano a metà. La crescita è quasi dimezzata rispetto a quella che si prevedeva, mentre l'inflazione è il triplo. Il tapering sarà veloce ed è già partito anche in Europa con la riduzione degli acquisti Pepp. I tassi di policy, dal canto loro, sono già decollati nel Regno Unito, mentre la Fed prepara tre rialzi per l'anno prossimo con il primo, forse, già in marzo. La curva dei rendimenti, che doveva farsi molto ripida, si sta invece appiattendo velocemente. E poiché l'azionario di crescita è prezzato con multipli agganciati ai tassi a lungo, ecco che la grande tecnologia americana ha continuato a gonfiarsi e ha permesso agli indici, aiutati anche dagli ottimi utili societari, di andare ben oltre le previsioni di inizio anno.
Che confusione. E che confusione anche adesso, sia per quanto riguarda l'orizzonte a 12 mesi sia per quanto riguarda i tempi di durata del ciclo espansivo in corso, di cui si comincia a discutere su quando finirà.

Partiamo dall'orizzonte a 12 mesi e proviamo a capire perché i mercati hanno preso così bene, almeno nella loro prima reazione, i numerosi segnali di volontà di normalizzazione monetaria anticipata espressi dalle banche centrali.
Erano già nei prezzi, si dice. Già, ma allora le borse avrebbero potuto semplicemente restare dov'erano, senza rimbalzare clamorosamente verso i massimi. E poi non tutto era già nei prezzi, a partire dal rialzo della Bank of England. C'erano coperture da smontare, si dice. Può essere. C'è il rally di fine anno da rispettare, si aggiunge. Certo, ma nel 2018, in presenza di un altro indurimento da parte della Fed pur con un'economia che stava rallentando, i mercati festeggiarono il Natale precipitando.
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