Avvistato in ritardo l'iceberg dell'
inflazione irreversibile, capitan
Powell ha fatto suonare le sirene, frenato e contemporaneamente virato bruscamente il transatlantico, producendo rollio, beccheggio e imbardata. C'è stato
panico nei saloni dei passeggeri (quelli dei mercati) ma sotto la linea di galleggiamento la sala macchine (quella dell'
economia reale) è rimasta
più stabile.
La manovra finora sembra riuscita, ma è presto per dichiarare il cessato allarme. L'iceberg ha una parte ben visibile sopra l'acqua, quella dell'
inflazione da materie prime, e una parte sommersa, quella dell'
inflazione salariale, più difficile da calcolare e prevedere.
L'inflazione da materie prime appare domata, ma è difficile riconciliare i prezzi, scesi in misura rilevante, con l'offerta e la domanda finale rimaste finora sostanzialmente stabili. Questo vale in particolare per l'
energia. Qui
i prezzi scontano una discesa della domanda che in questi giorni si è manifestata solo in una riduzione delle scorte dei distributori, ma non nell'utilizzo finale.
L'offerta, dal canto suo, fatica a crescere e appare più alta di quello che è realmente perché gli Stati Uniti continuano a liquidare le loro scorte strategiche di greggio, che a questo ritmo saranno azzerate in primavera.
L'inflazione salariale, la parte meno visibile ma più pericolosa dell'iceberg, è più difficile da domare perché è insidiosa. Dipende molto dalla psicologia. Se le imprese si sentono forti, assumono di più e concedono più facilmente aumenti salariali. Lo stesso accade dal lato della forza lavoro, che si sente forte perché ci sono pochi disoccupati in giro a fare concorrenza e ha buon gioco a chiedere, quanto meno, di adeguare le retribuzioni all'inflazione.
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