(Teleborsa) - Il petrolio avvia la settimana sottotono, dopo che un tweet del Presidente americano Donald Trump ha alimentato l'attesa di maggiori tagli alla produzione.

Il leader statunitense nel weekend ha affermato che i prezzi del greggio sono "troppo alti" ed ha ha aggiunto di aver parlato con il Re saudita Salman per aumentare la produzione almeno di 2 milioni di barili al giorno, per compensare le perdite di produzione in Venezuela ed Iran.

Il recente vertice OPEC, tenutosi a Vienna, aveva formalizzato un accordo al ribasso sull'innalzamento dell'output, dando il via libera ad aumenti per solo 1 milione di barili, che erano stati giudicati insufficienti dagli esperti. tant'è che il mercato aveva spinto sull'acceleratore, portando il prezzo del petrolio ai massimi da tre anni e mezzo (da novembre 2014) oltre 74 dollari al barile (+8% in una settimana +23% da inizio anno).

Il tweet ha dunque mandato in tilt il mercato, che si è posizionato al ribasso: il barile di greggio USA stamattina viene scambiato a 73,75 dollari in calo dello 0,54%, mentre il Brent del Mare del Nord vale 78,51 dollari (-1,15%) dopo aver quasi sfiorato gli 80 dollari settimana scorsa.

A pesare sono proprio i timori che Stati Uniti, Russia ed Arabia Saudita si alleino per mandare il mercato in surplus ed abbattere il prezzo del greggio, a scapito di altri produttori che molto più dipendono da questa fonte, come l'Iran ed il Venezuela, ma anche la Nigeria e l'Angola.

Ad aggiungere malumore anche la notizia che la Libia ha pianificato la chiusura di altri due porti da cui esporta il greggio: da lunedì chiusi anche gli imbarchi di Zouetina e al-Hariga a Est del Paese dopo lo stop dei terminal di al-Sedra e Ras Lanouf. Questa ulteriore chiusura farà perdere 850 mila barili di greggio.

Sul prezzo del petrolio è intervenuto oggi anche il numero uno dell'Eni, Claudio Descalzi, affermando che un prezzo di 70 dollari è ritenuto accettabile sia dai produttori che dai consumatori e costituisce un unto di equilibrio fra domanda ed offerta. Poi, il manager ha aggiunto che tutto dipende dal fatto che Arabia e Russia riescano ad implementare gli aumenti produttivi annunciati, in caso contrario, il valore potrebbe salire anche più su attorno a quota 75-80 dollari.

Descalzi ha aggiunto che adesso "gli stock sono abbastanza bilanciati ed, anzi, si è andati sopra alla media degli ultimi cinque anni" e che un prezzo più alto sarebbe sgradito anche ai produttori di greggio, perché fa cadere i consumi e crea una sovracapacità.