(Teleborsa) - Gli insegnanti hanno diritto a lavorare fino a 70 anni, ancora di più se devono raggiungere il minimo di requisiti per l’accesso alla pensione. Non importa se sono precari o di ruolo. Lo ha detto il Tribunale del Lavoro di Velletri trattando il caso di un supplente 67enne, che a inizio estate, in occasione dell’aggiornamento della seconda fascia delle Graduatorie d'Istituto, si era visto negare il diritto all'inserimento nelle Graduatorie d'Istituto della capitale per “sopraggiunti limiti di età”: all'Ufficio Scolastico non è bastato sapere che al precario “storico” mancassero due soli anni per raggiungere la soglia del ventennio di contributi, indispensabile per ottenere l’assegno di quiescenza minimo.

A quel punto, attraverso il sindacato, il prof si è rivolto al Tribunale del Lavoro di Velletri, il quale gli ha dato ragione: potrà insegnare per altri tre anni. Come i colleghi di ruolo: per il giudice è infatti illegittima la parte del Decreto Ministeriale di aggiornamento delle G.I. 2017/2020 che nega la permanenza nelle graduatorie per le supplenze a quanti non hanno ancora raggiunto il minimo pensionabile.

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, sottolinea come la sentenza dia seguito all'intendimento della “Corte Costituzionale, secondo cui il conseguimento della pensione minima costituisce un bene inviolabile - ex multis Corte Cost. n.33/2013 - e il Miur non può eludere tale principio con previsioni che discriminano il lavoratore precario rispetto al personale di ruolo, per cui è espressamente prevista la possibilità di permanere in servizio fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, se può raggiungere il minimo contributivo ai fini della quiescenza. Ovviamente, non ci fermeremo qui: a quell'insegnante va assegnato un assegno di pensione corrispondente a tutti gli anni prestati, non solo ad una parte”.