Ricordando quanto da lui scritto in numerosi interventi, pubblicati in una recente raccolta, il professore mette in evidenza i limiti della sicurezza sociale che per tanti anni è stata una cintura protettiva per il lavoratore e il cittadino.
Prosperetti sottolinea come questi istituti, realizzati nella fase dell'epoca industriale, non si adattano più alla specificità dell'era post industriale e quindi non corrispondono più alla fase attuale che viviamo e non garantiscono al meglio i cittadini e lavoratori.
Il professore come esempio porta la situazione contributiva: "Attualmente l'impresa paga i contributi previdenziale sul numero dei lavoratori da lei impegnati - difatti rilevava a questi fini il lavoro umano - ma ora è cambiato tutto, e nonostante questo è proprio l'impresa labor intensive spesso meno produttiva e con meno redditività che continua a finanziare il welfare. Bisognerà cambiare, si dovrà pensare ad un sistema in cui i contributi vengano pagati in ragione del profitto e non solo del numero dei lavoratori".
"Tutto questo fa si che sarà difficile mantenere una pensione dal punto di vista meritocratico. Anche per questo - sottolinea - è stato introdotto l'istituto della pensione di cittadinanza che cerca di recuperare un aspetto assistenziale rispetto a quello previdenziale. Per questo la pensione andrà via via fiscalizzandosi. Quando il rapporto tra lavoratori e pensionati sarà di uno ad uno il problema sarà evidente ed esploderà".
Riguardo alle cosiddette delocalizzazioni, Prosperetti rifiuta la teoria delle specializzazioni delle aree "ogni paese - sottolinea - deve avere un suo equilibrio. Se non ci fosse stata l'Europa verde con gli aiuti all'agricoltura vivremmo in una realtà di desolazione e di terreni abbandonati. E' stato l'impegno europeo a mantenere e sostenere un ambiente equilibrato abitabile. La stessa cosa deve essere fatta per l'industria manifatturiera, ogni paese deve avere un suo segmento di manifattura, per difendere questo settore dalle delocalizzazioni e dalla disoccupazione, forse bisognerà arrivare ad un intervento dello Stato sulle retribuzioni dei lavoratori di quelle imprese che subiscono il dumping sociale di paesi terzi. In alcuno settori si potrebbe pensare ad una retribuzione di scambio e ad una retribuzione assistenziale".
Per il professore, "non ha senso pagare ingenti somme per i disoccupati vittime della delocalizzazione quando sarebbe più producente investire quei soldi per garantire l'occupazione e quindi aiutare la disoccupazione da dumping sociale".
di
Dino Sorgonà