(Teleborsa) - Il settore agricolo viaggia al 50% del suo potenziale, frenato dalla burocrazia ed anche da tanti “luoghi comuni". Questa la fotografia scattata dalla CIA-Agricoltori Italiani durante la sua Assemblea nazionale, oggi all’Auditorium Conciliazione di Roma, alla presenza tra gli altri del ministro del Lavoro Giuliano Poletti e del ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina.

L'incontro ha rappresentato l’occasione per fare il punto della situazione: "guai a pensare che l’agricoltura non sia un asset strategico per il Paese". Il contributo che può offrire in termini economici, ambientali e per la tenuta del tessuto sociale non ha eguali. L’emergenza terremoto, che ha bruciato in pochi secondi oltre un miliardo di euro in territori a fortissima vocazione rurale, deve far riflettere e bisogna dare subito segnali forti a sostegno della ricostruzione e della ripresa delle attività produttive.

Con poche misure ben mirate - si sottolinea - il settore è nelle condizioni di raddoppiare il proprio valore complessivo e garantire almeno 100 mila nuovi posti di lavoro.

Per l’agricoltura dunque "è tempo di cambiare": un’evoluzione che deve partire dal superamento di gravi vizi strutturali del settore, a partire dal turn-over nei campi che è fermo a 5 titolari d’azienda “under 40” ogni 100 “over 65”. Del resto, non è facile aprire un’azienda agricola se proprio il bene terra costa in media tra i 18 e i 20 mila euro per ettaro, contro i 5.500 euro della Francia e i 6.500 euro della Germania.

Ma la CIA ricorda che qualche buona novità, per rendere più conveniente entrare nel settore, è contenuta nella Legge di Stabilità, dove sono previsti tre anni di detassazione totale per i giovani che operano nel primario.

Altro pilastro da rimuovere, per aprire gli spazi, è quello della burocrazia. Ancora oggi un agricoltore impegna circa 90 giornate l’anno a svolgere pratiche e adempimenti di legge: troppe e troppo onerose. Quindi alti costi di gestione, che fanno il paio con gli alti costi di produzione, che restano i più “salati” d’Europa (superiori almeno del 15% della media), e generano il fenomeno dell’indebitamento: un agricoltore italiano su tre ha pendenze da ripianare.

Nel 2016 si punta al nuovo record dell’export a 38 miliardi, mentre rimane stabile il valore complessivo della produzione che si attesta su 165 miliardi.