(Teleborsa) - "Nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha prodotto effetti non soltanto, per quanto prevalentemente, sulla mortalità ma anche sulla mobilità residenziale interna e con i Paesi esteri, arrivando a incidere persino sui comportamenti riproduttivi (nell’ultimo mese dell’anno) e nuziali. Ne scaturisce un quadro globale, già di per sé fortemente squilibrato da dinamiche demografiche deboli sul versante del ricambio della popolazione, nel quale le stesse problematiche risultano accentuate e moltiplicate". È quanto emerge dal Report Istat Indicatori demografici 2020.

Alla luce di dati molto consolidati che coprono tutto il 2020 ma che per il momento sono da considerarsi provvisori, le nascite - si legge - "risultano pari a 404mila mentre i decessi raggiungono il livello eccezionale di 746mila. Ne consegue una dinamica naturale (nascite-decessi) negativa nella misura di 342mila unità".


Gli effetti del lockdown hanno poi determinato inevitabili ripercussioni sul versante dei trasferimenti di residenza. Le iscrizioni dall’estero sono state 221mila e le cancellazioni 142mila. Ne deriva un saldo migratorio con l’estero positivo per 79mila unità, il valore più basso degli anni 2000 e in grado di compensare solo in parte l’effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale.

Con l’eccezione del Trentino-Alto Adige, dove si registra una variazione annuale della popolazione pari a +0,4 per mille, tutte le regioni sono interessate da un decremento demografico. Il fenomeno colpisce maggiormente il Mezzogiorno (-7 per mille) rispetto al Centro (-6,4) e al Nord (-6,1). Molise (-13,2) e Basilicata (-10,3) sono le regioni più colpite; tra quelle del Nord spiccano Piemonte
(-8,8), Valle d’Aosta (-9,1) e soprattutto Liguria (-9,9).
Scendendo di un livello nell’analisi territoriale, la provincia di Isernia è quella che evidenzia la situazione maggiormente critica, per via di un tasso di variazione che in un anno le sottrae circa l’1,5% della popolazione. Sono comunque numerose, e concentrate nel Nord-ovest, le province che nel 2020 perdono almeno l’1% della popolazione. In particolare, le province di Vercelli, Asti, Alessandria e Biella in Piemonte; le province di Savona e Genova in Liguria, quelle di Pavia e Cremona in Lombardia.

Persi in media oltre 14 mesi di sopravvivenza - Per effetto del forte aumento del rischio di mortalità, specie in alcune aree e per alcune fasce d’età, che ha dato luogo a 746mila decessi (il 18% in più di quelli rilevati nel 2019), la sopravvivenza media nel corso del 2020 appare in decisa contrazione. La speranza di vita alla nascita, senza distinzione di genere, scende a 82 anni, ben 1,2 anni sotto il livello del 2019. Per osservare un valore analogo occorre risalire al 2012. Gli uomini sono più penalizzati: la loro speranza di vita alla nascita scende a 79,7 anni, ossia 1,4 anni in meno dell’anno precedente, mentre per le donne si attesta a 84,4 anni, un anno di sopravvivenza in meno.

Nel 2020 pandemia ha causato almeno 99mila decessi in più - Secondo il Sistema di Sorveglianza Nazionale integrata dell’Istituto Superiore di Sanità .- rileva il report - nel corso del 2020 sono stati registrati 75.891 decessi3 attribuibili in via diretta a Covid-19. Tuttavia, come già evidenziato, l’incremento assoluto dei decessi per tutte le cause di morte sull’anno precedente è stato pari a +112 mila. Così, se da un lato è possibile ipotizzare che parte della mortalità da Covid-19 possa essere sfuggita alle rilevazioni, dall’altro è anche concreta l’ipotesi che una parte ulteriore di decessi sia stata causata da altre patologie letali che, nell’ambito di un Sistema sanitario nazionale in piena emergenza, non è stato possibile trattare nei tempi e nei modi richiesti.

In attesa degli approfondimenti sui dati dettagliati per causa di morte, che nello specifico ripercorrono le fasi di ciascun singolo decesso del 2020 (dalle cause iniziali alle complicanze, fino alla causa letale ultima), è possibile effettuare alcune valutazioni di massima.

Se, ad esempio, nel corso del 2020 si fossero riscontrati i medesimi rischi di morte osservati nel 2019 (distintamente per sesso, età e provincia di residenza e applicati ai soggetti esposti a rischio di decesso4) i morti sarebbero stati 647mila, ossia soltanto 13mila in più rispetto all’anno precedente, invece dei 112 mila registrati. Ne consegue che la mortalità indotta direttamente/indirettamente da Covid-19 ammonta a 99mila decessi, un livello che può considerarsi come limite minimo. Infatti, nei primi due mesi del 2020, in una fase antecedente alla diffusione del virus, i decessi sono stati 6.877 in meno rispetto agli stessi mesi del 2019. È dunque lecito ipotizzare che senza la pandemia i rischi di morte sarebbero stati inferiori e non, come qui è ipotizzato ai fini del calcolo, precisamente eguali.

Delle 99mila unità stimate come eccesso di mortalità 53mila sono uomini e 46mila donne, a riprova che la pandemia ha prevalentemente colpito il genere maschile.

Quanto alla riduzione della natalità interessa - rileva il Report - "tutte le aree del Paese, da Nord a Sud, salvo rare e non significative eccezioni. Sul piano regionale le nascite, che su scala nazionale risultano inferiori del 3,8% sul 2019, si riducono dell’11,2% in Molise, del 7,8% in Valle d’Aosta, del 6,9% in Sardegna. Tra le province, a riprova di un quadro generale piuttosto critico, sono soltanto 11 (su 107) quelle in cui si rileva un incremento delle nascite: Verbano-Cusio Ossola, Imperia, Belluno, Gorizia, Trieste, Grosseto, Fermo, Caserta, Brindisi, Vibo Valentia e Sud Sardegna.
La fecondità si mantiene più elevata nel Nord del Paese, con 1,27 figli per donna ma in calo rispetto a 1,31 del 2019 (e a 1,44 del 2008). Nel Mezzogiorno scende da 1,26 a 1,23 (1,34 nel 2008) mentre al Centro passa da 1,19 a 1,17 (1,39 nel 2008).
La regione più prolifica è il Trentino-Alto Adige con 1,52 figli per donna, in calo da 1,57 del 2019. Sotto il livello di 1,2 figli per donna si trovano soltanto regioni del Centro-sud".