(Teleborsa) - Nell’Unione Europea, in 21 dei 27 Stati membri è stato già introdotto il salario minimo, ma l’Italia non ha ancora provveduto a tale riforma. Tra i Paesi dell’UE, il salario minimo non esiste, oltre che in Italia, anche in Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia, qui i salari sono disciplinati dai contratti collettivi nazionali.

Cos'è il salario minimo?
Il salario minimo è la retribuzione di base per i lavoratori di differenti categorie, stabilita per legge, in un determinato arco di tempo. Non può essere in alcun modo ridotta da accordi collettivi o da contratti privati. È in sostanza, una “soglia limite” di salario sotto la quale il datore di lavoro non può scendere.

Come si fissa il salario minimo?
Le legislazioni sul salario minimo, nei diversi Paesi Europei e non, hanno calcolato il salario minimo alla luce di una serie di parametri come: la produttività; il PIL; l’Indice dei prezzi al consumo; andamento generale dell’economia.
Periodicamente va fatta una rivalutazione in modo tale da mantenere il potere di acquisto dei salari stabile nel tempo.

A quanto ammonta il salario minimo europeo nei singoli paesi?
Secondo le più recenti statistiche pubblicate da Eurostat, a luglio 2020 erano previste retribuzioni minime nazionali in 21 dei 27 Stati membri dell’UE con notevoli differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l’importo mensile. Ad esempio si va dai 312 euro in Bulgaria ai 2.142 euro in Lussemburgo.

Attualmente in Italia non è in vigore alcuna legge nazionale, né regionale, sul salario minimo. Come mai il nostro Paese non ha ancora provveduto a tale riforma?

Storicamente, l’Italia è un paese in cui il dibattito nel mondo del lavoro risulta tanto complesso sia per le motivazioni in campo da parte degli attori, sia per le difficoltà strutturali che il nostro paese soffre a livello di processo decisionale. Potremmo pensare - afferma Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia - che il Paese non si sia ancora impegnato in una discussione seria su tale riforma poiché il rischio sarebbe quello di esautorare i sindacati e le parti sociali dal dibattito. Inoltre, introdurre un salario minimo metterebbe a rischio gli equilibri degli innumerevoli contratti collettivi nazionali di cui gode il lavoro in Italia.

Un altro tema sostanziale - aggiunge Bedusa - è anche l’impatto che il salario minimo potrebbe avere sul tasso di occupazione. Quanto potrebbe, effettivamente, essere ammortizzato dalle piccole e medie imprese italiane che rappresentano gran parte del tessuto produttivo del nostro paese, l’aumento sul costo del lavoro? Cosa potrebbe fare il Governo per ovviare a tali aumenti?

Infine, riprendendo parte di ciò che abbiamo detto, il nostro mercato del lavoro non sarebbe esente da rischi di applicazione errata della riforma. Le stesse imprese, magari, potrebbero proprio andare ad applicare un contratto di salario minimo invece del CCNL di riferimento proprio per ammortizzare quei costi altresì gravosi per i bilanci aziendali.

Quale ruolo potrebbe avere il salario minimo sul benessere dei dipendenti e sull’organizzazione aziendale?
Partiamo dal presupposto che, dalle nostre analisi e da quelle delle altre aziende, la retribuzione, pur rappresentando una leva di soddisfazione, non è il primo driver motivazionale – spiega il presidente di Great Place to Work Italia -. Anzi, sembrerebbe che vi sia un disallineamento per quanto riguarda la percezione dell’importanza della retribuzione tra management e lavoratori, dove i primi percepiscono questa come la leva più importante per i collaboratori mentre questi ultimi reputano fondamentali gli aspetti relazionali.


Nello specifico, per i collaboratori, emergono i temi dello sviluppo personale (dall’apprezzamento da parte dell’organizzazione e del manager alla possibilità di fare carriera), della cura delle persone (colleghi attenti e affidabili, il senso di appartenenza) e del work life balance (carico di lavoro, flexibility).

Anche da alcuni studi svolti sul mercato del lavoro tedesco in seguito all’introduzione nel 2015 del salario minimo, è emerso che “l’influenza della minimum wage sulla soddisfazione personale è modesta e che il suo effetto su work engagement e intentional turnover è virtualmente pari a zero”.

C’è, però, da segnalare che l’inserimento di un salario minimo per specifiche categorie di lavoratori, porterebbe gli stessi ad andare oltre le condizioni di povertà. È giusto, quindi, che la povertà non sia un problema per coloro che lavorano ogni giorno, a tempo pieno.

Inoltre - sottolinea il top manager - pensiamo anche ai nuovi segmenti del mercato, alla gig economy, a tutti quei contratti atipici presenti oggi all’interno del mondo del lavoro, che non garantiscono in prima istanza agli attori coinvolti delle tutele specifiche anche di ordine salariale.

Quali sono i pro e i contro del salario minimo?

Oltre ai fattori già citati precedentemente, possiamo anche affermare che nel tempo si potrebbe generare un modesto circolo virtuoso che rafforzi il rapporto tra le parti e che aumenti la produttività del capitale umano, sottolinea Bedusa. Il punto centrale - e ce lo ricorda anche Confindustria, favorevole ad un tavolo di discussione su questo argomento - non è tanto il domandarsi quanto sia importante l’introduzione di un salario minimo oggi nel nostro mercato del lavoro, ma come determinarne l’implementazione e i relativi controlli di applicazione.
D’altro canto – aggiunge Bedusa - il rischio sarebbe proprio quello di rafforzare quei contratti alternativi, pirata (che riproducono i contratti stipulati dalle forze sindacali ma con dumping salariale e di tutela lavorativa) o addirittura di alimentare ancor di più il lavoro nero.

Inoltre, una manovra non ponderata sul salario minimo potrebbe portare a un irrigidimento del mercato del lavoro oggi più che mai flessibile e ad un outsourcing all’estero da parte delle organizzazioni per ammortizzare l’aumento degli alti costi del lavoro italiano. A tal riguardo, è importante ricordare che l’Italia è il quarto paese in Europa per cuneo fiscale.

Infine, ci si potrebbe aspettare, per coloro che appartengono a livelli salariali più elevati e che si vedono schiacciati dall’aumento salariale delle fasce più basse, una richiesta di riposizionamento salariale, con un’ulteriore crescita indiretta del costo del lavoro, data dall’introduzione del salario minimo.

In Germania arriva l’aumento del salario minimo. Cosa ne pensa di quel mercato del lavoro?
In Germania si sta discutendo della possibilità di un secondo aumento del salario minimo. Il primo era già avvenuto nel 2015, con l’introduzione della paga oraria di 8,50 euro lordi. Il fatto che oggi si discuta per portarlo a 12 euro l’ora, un aumento del 42%, ci fa capire come questa tematica sia molto importante per i tedeschi.

D’altro canto – spiega il presidente di Great Place to Work Italia - la Germania è, e rimane, uno dei paesi con il mercato del lavoro più solido e con uno dei più bassi tassi di disoccupazione al mondo. Questo, però, non deve illuderci del fatto che non vi siano problemi strutturali anche nel mercato del lavoro tedesco. Basti pensare che la Germania presenta ancora oggi un forte divario a livello salariale (la quota di lavoratori a tempo pieno che ricevono una retribuzione inferiore ai 2/3 del salario medio si colloca tra il 18 e il 19%, al di sopra del 15% della media UE), un’inflazione non indifferente (4,9%) e una fetta molto ampia di lavoratori part time (il 26,8%, 8 punti percentuali al di sopra della media italiana) che da una parte favoriscono sicuramente un’ampia occupazione, dall’altra stimolano a ripensare il minimo salariale.