Attraverso un'analisi dei servizi sanitari, dell'evoluzione del settore, dei costi, delle difficoltà di accesso e della qualità percepita dai cittadini, il Rapporto ha preso in considerazione il triennio di pandemia: dalla fase dell'emergenza straordinaria nel 2020 a quella proattiva del 2021, caratterizzata dal programma di vaccinazione, ma anche dal blocco e dal differimento delle prestazioni, per finire con il 2022, anno durante il quale ci si è trovati ad affrontare il fenomeno di servizi non erogati o procrastinati. La ricerca costituisce uno strumento di monitoraggio e valutazione dell'efficacia e dell'efficienza del sistema ospedaliero italiano, nelle sue componenti di diritto pubblico e di diritto privato del Servizio Sanitario Nazionale e coniuga i dati oggettivi dei flussi informativi correnti con i dati "soggettivi" ricavati da un'indagine annuale sull'esperienza dei pazienti.
"La doppia anima del nostro sistema ospedaliero, pubblico e privato, può rappresentare la chiave per risolvere alcune criticità esistenti e superare le inaccettabili disuguaglianze che tuttora persistono a livello territoriale. Dobbiamo implementare e allargare l'offerta, –sottolinea il ministro della Salute Orazio Schillaci – anche creando un sistema virtuoso tra pubblico e privato che possa garantire una presa in carico globale e appropriata delle esigenze di prevenzione, cura e assistenza di tutti i cittadini. Considero prioritario rispondere in modo tempestivo e adeguato alle esigenze di tutti coloro che sono rimasti indietro in questi anni, penso in particolare agli screening oncologici, ai ricoveri e agli interventi rimandati o sospesi soprattutto nelle prime fasi dell'emergenza sanitaria. L'edizione 2022 del Rapporto Aiop restituisce una nitida fotografia degli ultimi anni caratterizzati dalla pandemia di Covid-19. Una novità rilevante è rappresentata dall'approvazione dell'emendamento al decreto Milleproroghe che, oltre a permettere di continuare a utilizzare i fondi resi disponibili con la legge di Bilancio 2022, dà alle Regioni la facoltà di avvalersi di una quota dello 0,3% del fondo sanitario per incrementare l'offerta di prestazioni in convenzione con le strutture private accreditate. In tema di risorse destinate al SSN – ha concluso Schillaci – abbiamo voluto dare un segnale di cambiamento, siamo arrivati a oltre 128 miliardi di euro per il fondo sanitario nazionale 2022 e aumentato le risorse del fondo per il triennio 2023-2025".
"Il Rapporto fotografa una situazione che ormai era chiara da molto, purtroppo – evidenzia Ugo Cappellacci, presidente della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati – le cifre sono drammatiche ed è necessario invertire la rotta. La spesa sanitaria deve necessariamente diventare un investimento, passando dal concetto di Prodotto interno lordo a quello di Benessere interno lordo e comprendendo che in sanità spendere meno prima significa spendere di più dopo. I limiti riscontrati dal Servizio Sanitario Nazionale durante la pandemia si possono recuperare solo tramite un'integrazione vera tra pubblico e privato. Dobbiamo, quindi, intervenire sul tema dei tetti per arrivare a recuperare i ritardi che rischiano di mettere in ginocchio il Paese. Rompiamo assieme questo tetto".
"Il Sistema Sanitario Nazionale è in gravissima crisi e il Covid ha peggiorato tale situazione. Il contributo del privato, dunque, – dichiara Davide Faraone, commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei Deputati – è fondamentale per supportare il sistema e recuperare tutto ciò che è rimasto arretrato. Occorre però investire, stanziando risorse per almeno 10 miliardi di euro, di cui almeno 8 per il privato accreditato e intervenire con nuove assunzioni. È necessario superare gli steccati ideologici: pubblico e privato stanno seguendo la stessa identica missione ed è arrivato il momento di riconoscerlo".
"Vogliamo riportare l'interesse del malato al centro del dibattito sulla sanità pubblica, troppo spesso orientato da visioni parziali, che prescindono dai principi di realtà – afferma Cittadini –. La spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al PIL continua a restare fortemente al di sotto della media dei Paesi OCSE e G7 e si continua a paralizzare l'erogazione di servizi alla salute, attraverso il meccanismo dei tetti di spesa, imponendo alle Regioni un limite massimo all'acquisto di prestazioni presso il privato accreditato e sacrificando i bisogni assistenziali dei pazienti sull'altare di una illogica predilezione per la proprietà pubblica degli asset. Ancora una volta, i dati parlano chiaro: le dinamiche conflittuali tra la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato del SSN non interessano ai malati. L'interesse del paziente è quello di ricevere le cure migliori – dal punto di vista dell'efficacia, appropriatezza e sicurezza – e non, certamente, la natura giuridica dell'ospedale che le eroga. I malati desiderano, solamente, essere curati. È necessario – ha concluso la presidente Aiop – comprendere che ogni euro impiegato in sanità è un investimento per il progresso del Paese e che è indispensabile procedere ad un'alleanza di sistema, basata su un approccio collaborativo/competitivo tra la componente di diritto pubblico e la componente di diritto privato del SSN, preservando e aumentando gli ambiti di tutela, superando i condizionamenti ideologici, che, fino ad ora, hanno relegato la componente di diritto privato a un ruolo vicario e agendo attraverso una differente allocazione delle risorse alle strutture che assicurano prestazioni qualitativamente migliori e una gestione più efficiente".
"Il sistema pubblico è ingolfato e non riesce a utilizzare le risorse anche aggiuntive che gli sono, di volta in volta, assegnate. Il comparto privato – dichiara Domenico Mantoan, direttore generale Agenas – è l'unico settore al quale sono rimasti applicati i tetti di spesa. Siamo in una condizione in cui i 300 milioni riconosciuti alle strutture di diritto pubblico per smaltire le liste d'attesa non sono stati utilizzati e in cui il privato accreditato è volutamente limitato nella sua capacità produttiva. Nel nostro Paese lo Stato deve incarnare il ruolo costituzionalmente previsto di soggetto regolatore: questo significa interpretare i bisogni in maniera flessibile, senza restare ancorati a norme – come il Dl 95 – introdotte 10 anni fa e mai aggiornate; significa rendere effettivo il ruolo di valutazione a livello centrale per monitorare più accuratamente l'efficienza delle strutture pubbliche che – dobbiamo dirlo – viaggiano a piè di lista e orientate verso una programmazione libera di dare di più a chi garantisce una qualità maggiore al minor costo".
"Esiste un problema serio rispetto alle liste d'attesa e alla rinuncia alle cure a cui si somma il pregresso derivante dal Covid. Rispetto alla rinuncia alle cure – sottolinea Tonino Aceti, presidente Salutequità – abbiamo tassi raddoppiati rispetto al pre-Covid: in Sardegna – la Regione con la minore proporzione di privati accreditati – è quella con la percentuale maggiore, pari al 18%. Parallelamente, il sistema di misurazione istituzionale ai fini LEA è profondamente carente nel misurare il fenomeno delle liste d'attesa: solo un indicatore dovrebbe catturare la capacità delle Regioni di rispondere tempestivamente ai bisogni di cura. Sull'intramoenia ancora 5 Regioni non hanno istituito le relative commissioni di controllo e a fronte di un sistema che fa acqua da tutte le parti abbiamo, quindi, canali di accesso non controllato solo per chi se lo può permettere. Chi non ha disponibilità economica rinuncia alle cure e stiamo dinanzi a un diffuso fenomeno di progressivo aggravamento delle condizioni di salute e al proliferare di casi che arrivano in ospedale quando ormai la patologia è complessa e a uno stadio avanzato".
All'evento, tra gli altri, hanno preso parte Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, Nadio Delai, sociologo, presidente di Ermeneia e Gabriele Pelissero, vicepresidente Aiop.
Il long covid del SSN – Dal punto di vista dell’offerta, non solo nel 2021 non si riscontra il recupero atteso delle prestazioni mancate nel corso della fase pandemica più acuta, ma – nonostante una ripresa rispetto al 2020 – il Rapporto rileva, anche, che i volumi di attività non sono tornati ai livelli pre-pandemici né per le prestazioni programmate né per quelle urgenti. In particolare, il volume di ricoveri urgenti non ha subìto sostanziali variazioni tra il 2020 e il 2021, confermando così una differenza percentuale del -13% rispetto al periodo pre-pandemico: circa 900 mila ospedalizzazioni perse sia nel 2020 sia nel 2021. Il numero di ospedalizzazioni urgenti, inoltre, resta sovrapponibile nel biennio anche nell'ambito delle stese aree territoriali (nord, centro e sud); viene quindi confermata una contrazione
soprattutto nel sud e nelle isole, comparativamente meno investiti dall’urto pandemico e dal conseguente sforzo di recupero. Per quanto riguarda, invece, i ricoveri programmati, si assiste a una ripresa dell'attività elettiva, pur restando un significativo scostamento (-16%) dalla situazione del 2019. In questo caso, è più che evidente come il sistema fatichi a tornare sui livelli pre-pandemici, con quanto ne consegue anche in termini di non riuscito recupero delle prestazioni mancate nel 2020. Per quanto attiene le prestazioni di specialistica ambulatoriale, i volumi di attività restano fortemente al di sotto dei valori pre-Covid, con variazioni 2019-2021 che raggiungono scarti
anche del -70% (Basilicata) e del -46% (P.A. di Bolzano). Differenze negative si registrano anche nel 2022, a conferma di un perdurante long covid del SSN6. Il fenomeno dei tempi di attesa anomali – che già era una criticità rilevata nel nostro SSN – si incrementa ulteriormente: ai ritardi ordinari pre-pandemici, si aggiungono quelli straordinari del 2020 e quelli provocati da un urto pandemico che stenta a esaurirsi. Se si possono definire fisiologici i blocchi e rimandi del 2020 – nella misura in cui il sistema si è concentrato nella gestione dell’emergenza Covid e parallelamente le prestazioni non-Covid sono state limitate per controllare il rischio di contagio - si fa fatica a spiegare il dato del 2021. Dal punto di vista della domanda, l’indagine condotta da Ermeneia su un campione di 4.020 soggetti (rappresentativo della popolazione adulta italiana) rivela come, ancora nel 2022, il 73% degli intervistati senza esperienza di contagio e il 66% di quelli con una o più esperienze Covid abbiano dovuto sostenere blocchi o rimandi di prestazioni diagnostiche per
patologie di gravità medio-alta. Rispetto ai due sottogruppi – mai contagiati e contagiati – ostacoli all’accesso e procrastinazioni per terapie periodiche e controlli obbligatori sono stati sperimentati, rispettivamente, nel 89% e 97% dei casi.