(Teleborsa) - La chiusura dei negozi di prossimità – principale elemento che contribuisce alla qualità della vita urbana per gli italiani, dopo bar e ristoranti (78%) e spazi verdi (66%) –, fa crollare il valore degli immobili fino al 16%, con un differenziale che può arrivare al 39% rispetto a un'abitazione in un quartiere ricco di attività commerciali. Gli italiani vogliono vivere in quartieri con più negozi di prossimità e la loro presenza incide significativamente sul valore immobiliare: un appartamento in una zona ricca di negozi vale mediamente il 23% in più rispetto a un immobile in un'area mediamente servita. È quanto emerge dall'indagine sulla desertificazione commerciale realizzata da Confcommercio in collaborazione con Swg, presentata a Bologna in occasione dell'iniziativa nazionale "inCittà - Spazi che cambiano, economie urbane che crescono".
Le attività di quartiere sono riconosciute come presidi di comunità: per il 64% degli italiani favoriscono la socialità, per il 62% migliorano la cura e la pulizia degli spazi pubblici, per il 60% aumentano la sicurezza e per il 57% tutelano le persone più fragili. Anche i dehors sono apprezzati perché favoriscono la convivialità (84%) e rendono più belli gli spazi urbani (69%). Nonostante la crescita dell'e-commerce, il 67% degli italiani dichiara di volere più negozi di vicinato nel proprio quartiere per minimizzare gli spostamenti e il 68% vorrebbe un mix di negozi piccoli e medi per avere maggiori possibilità di scelta, con percentuali che raggiungono il 75% al Sud e nelle città medio-piccole. La chiusura dei negozi continua a essere uno dei fenomeni più temuti: l'80% degli italiani prova un senso di tristezza nel vedere saracinesche abbassate, il 73% collega la chiusura dei negozi al calo della qualità della vita. Rispetto a dieci anni fa, le attività scomparse più notate sono i negozi di libri, articoli sportivi e giocattoli (55%), abbigliamento e profumerie (49%), ferramenta e arredamento (46%), alimentari (45%). Pat
Alla desertificazione commerciale si accompagna la crisi abitativa nei centri urbani. Prima causa, per il 50% degli italiani, sono
gli affitti brevi associati direttamente all'aumento dei prezzi degli affitti per i residenti, mentre il 42% lamenta una conseguente diminuzione della disponibilità di alloggi. Nelle città dove la pressione turistica è medio-alta, gli intervistati lamentano un aumento sbilanciato di attività dedicate al cibo (49%) e una crescita dei negozi per turisti con prodotti di bassa qualità (23%). Questo fenomeno porta alla sostituzione dei negozi tradizionali con quelli dedicati ai turisti (17%), contribuendo a una perdita di servizi e di autenticità dell'offerta. A fronte di un 24% che riconosce agli affitti brevi un beneficio nel "recupero di alloggi inutilizzati", prevale nettamente una percezione negativa (46%). Per quanto riguarda i luoghi di acquisto abituale, la ricerca evidenzia come i piccoli esercizi siano preferiti per bar e pub (88%), farmacie (87%), tabacchi e quotidiani (85%). Supermercati e grandi superfici dominano invece per i prodotti alimentari a lunga conservazione (64%), articoli sportivi (58%), elettronica e telefonia (56%). Quote interessanti emergono per il commercio ambulante, in particolare per gli alimentari freschi (11%) e l'abbigliamento e calzature (10%).
Confcommercio: "Chiusura dei negozi deprezza immobili fino al 16%"
Indagine sulla desertificazione commerciale: un appartamento in una zona ricca di negozi vale mediamente il 23% in più rispetto a un immobile in un'area mediamente servita
20 novembre 2025 - 11.31