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Il nostro incubo peggiore



Dal crollo del muro di Berlino che ha, di fatto, decretato la morte del regime comunista, ha preso il sopravvento un virus globale: la Democrazia. Milioni di persone che per un lunghissimo periodo erano state preservate dall'inoculazione del virus democratico, si sono trovate esposte al vento di libertà proprio nel momento in cui i sistemi di auto protezione dei regimi dittatoriali collassavano.

Così una moltitudine di giovani, senza decorsi o abitudini democratiche, invade i mercati occidentali favorendo, di fatto, la globalizzazione e richiamando, per interazione ed effetti, il processo di decolonizzazione degli anni 50, durante il quale assunse concretezza la schiavitù e il suo sfruttamento. Il lavoro su scala industriale raggiunse livelli fino ad allora inespressi, con punte estreme viste proprio agli albori della globalizzazione, divenendo, infine, parte del capitalismo globale.

Gli opposti si attraggono, così la democrazia e la schiavitù sono diventate i due capisaldi del nuovo processo economico su larga scala; due fenomeni paradossalmente correlati, ma così lapidariamente opposti e nella cui essenza teorica uno dovrebbe garantire l'altro. Non è così.

Tutte le più importanti transizioni storiche, a un'attenta lettura, hanno portato a una discriminazione evidente di un soggetto da parte dell'altro; ed è proprio nei momenti di radicali cambiamenti che i governanti perdono facilmente il controllo delle leve economiche, facendo diventare l'economia stessa una sorta di strumento distruttivo nelle mani di persone inesperte.

Digerito quest'articolato concetto, possiamo dire tranquillamente che siamo nel bel mezzo di una nuova transizione economica; la crisi ha frantumato il mondo e i conquistatori, gli stessi che rimandano al ruolo predatorio dell'Occidente, sono alla ricerca di nuove economie di scala, invadendo le zone povere del globo, sempre più risicate, esasperando il concetto di schiavitù.

La rimappatura dell'ordine economico mondiale rende però difficile, questa volta, il perpetuarsi del tradizionale ruolo di poveri ad oltranza, così la Cina si aggrega nel novero delle nazioni economicamente progredite lanciando, unitamente a Brasile e Russia, il salvagente alle economie più povere, fino a ieri razziate dall'Occidente capitalista provocando, in rapporto causa-effetto, il risucchio nella povertà della periferia dell'Occidente.

Un'economia banditesca, fondata sul sacrificio di una delle due parti, che è una condizione nascosta nelle pieghe del progresso con cui ci si abitua a convivere, a meno di un radicale cambiamento delle forze in gioco e un riaffermarsi di valori efficaci a combatterla. Valori addormentati dalla seduzione dell'economia occidentale, i cui tentacoli arrivano nelle lontane campagne cinesi, così come nelle solite regioni africane, destinate ciclicamente a soccombere.

Non ci si può stupire, quindi, del prepotente flusso migratorio che straripa dal Sud dell'Europa ai confini meridionali del Texas. Un imponente rimescolamento di popoli alla ricerca di un mondo migliore che, oggi, ha sempre meno da offrire e che, in caso di corto circuito globale, potrebbe trasformarsi nel nostro incubo peggiore.

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