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L'esito contorto di vizi assecondati


Negli Atti per la costituzione dell'Impero, scritti da Napoleone in ritorno dall'Isola d'Elba nel 1815, compare: "Avevamo allora per fine d'organizzare un grande sistema federativo europeo", e poi... "Gli stessi princìpi, una stessa moneta con parità diverse, le stesse leggi".

L'Euro, quindi, non è il risultato di un ravveduto liberismo sulla via di Damasco, ma una convinzione covata per secoli. E se per secoli non si è addivenuti ad un risultato degno e convinto è segno che l'araba fenice stenta a decollare, alla stregua della pace in Palestina. Agognata da molti, ma voluta da nessuno. Ergo, dove fallì Napoleone, nulla poterono gli sforzi di Giscard d'Estaing e Mitterand e nemmeno quelli, grotteschi, di Barroso e Van Rompuy.

Tutti confessano di essere favorevoli all'Europa, ma di fronte alle piaghe economiche nazionali, con disoccupazione galoppante e bilanci statali fuori controllo, gli stessi esprimono un'indecisione che dà la misura delle difficoltà che dovranno affrontare i difensori del trattato Europeo, negli ormai angusti corridoi di Bruxelles.

Si fa sempre più fatica, quindi, a dimostrare alla gente che l'Europa, anche per i problemi quotidiani e per le angosce di fronte al futuro, è qualche cosa di più concreto che un'accozzaglia di giudizi partigiani, con il rischio che l'Europa stessa, nella rimappatura dell'economia mondiale, rimanga fuori dai giochi, se non si rivede, quanto prima, l'impianto del trattato costitutivo firmato a Maastricht nel febbraio del 1992.

Ma la nascita dell'Euro fu decisa due anni prima, nel trattato di Roma, dove fu chiaro lo stridente contrasto tra l'idea tedesca di dare precedenza all'unione politica, prima di quella economica o quantomeno dar luogo ad un approccio a due velocità e l'idea tutta francese, di affogare nel progetto anche l'Europa latina per poter avere maggior peso specifico.

I tedeschi, provati dal ricongiungimento delle due Germanie, si rassegnarono e definirono la nascita dell'Euro "un malaticcio neonato prematuro" che aveva messo tutti gli Stati membri intorno ad un tavolo, a discutere e litigare su una matrice che inglobasse, Stato per Stato, il reciproco valore a cui allinearsi e godersi i futuri risparmi in conto interessi. Da lì, un decennio di addormentato compiacimento, in cui l'Euro ha protetto gli Stati finanziariamente meno virtuosi come Italia, Grecia e Portogallo, finché i lori debiti sono letteralmente esplosi e divenuti insostenibili rispetto alla produttività, provocando un folle aumento del differenziale rispetto ai titoli governativi tedeschi.

Più interessi da pagare quindi, come ai tempi di Lira e Dracma, ma con una perversa stabilità dell'Euro che non svaluta di concerto. L'esito scontato di vizi capitali e contrapposte virtù.

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