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Auguri, bilanci e sceneggiate sotto l'albero

Le feste si avvicinano e come rito impone è tempo di auguri, di bilanci e auspici per l'anno che verrà.

Le feste si avvicinano e come rito impone è tempo di auguri, di bilanci e auspici per l'anno che verrà. Ma questo fine 2012 ci consegna una simpatica novità, la sceneggiata politica che si prende la scena e diventa protagonista. Purtroppo l'intento di questi attori un po' particolari non è quello di allietare l'umore degli italiani, un po' ammaccato dai colpi della crisi e dalle perduranti incertezze sul futuro prossimo venturo; ritengo senza tema di smentita che questo sia l'ultimo dei loro pensieri. Non è d'altronde un mistero che la riscoperta del genere canoro neomelodico in lingua partenopea degli ultimi anni debba parte non secondaria del suo successo ai favori di qualche attempato uomo delle istituzioni.

Non risulta, quindi, così inaspettato che della vasta cultura e tradizione napoletana, ricca di esempi di altissimo valore, venga privilegiata quella più popolana, magari un po' plebea, ma probabilmente più consona alla rappresentazione che si intende proporre. Uno come Eduardo sarebbe del tutto inadeguato, troppo distante il carattere e lo spessore dei suoi personaggi; molto meglio un Mario Merola, decisamente più vicino allo spirito ed alla qualità dello spettacolo in via di allestimento. Per una incredibile coincidenza, una delle ultime fatiche cinematografiche (forse proprio l'ultima) del suddetto, per l'appunto titolava "Torna": vuoi mai che l'ispirazione arrivi da lì? Riprendendo Flaiano, verrebbe da dire che la situazione è grave ma non è seria.

Purtroppo i Mercati non la pensano così e non appena avuto il sentore che i prossimi mesi potrebbero essere forieri di novità non gradite hanno immediatamente battuto un colpo, facendo intendere quale sarebbe lo scenario che ci riservano. Questa considerazione, ovvia per chi conservi una dose non marginale di buon senso e possegga un minimo di nozioni di economia, si scontra inevitabilmente con l'ormai mitico slogan "non possiamo essere schiavi dello spread".

In realtà lo spread altro non è che un numero che certifica a livello internazionale l'affidabilità di un Paese: se questo è ritenuto poco credibile, perché si dubita che sia in grado di restituire i capitali presi a prestito, il numero sale. Qualsiasi sistema economico è sottoposto a questo quotidiano esame di fiducia da parte dei Mercati, anche quelli emergenti e di recente industrializzazione, perché nessun potenziale investitore, sia esso il grosso Fondo Pensione o il piccolo risparmiatore, è disposto ad acquistare titoli del debito pubblico di uno Stato che alla scadenza potrebbe non essere in grado di onorare i suoi impegni.

Non avere accesso al Mercato dei Capitali, o averlo a costi elevatissimi, implica la necessità di reperire in altro modo le risorse finanziarie necessarie per la vita di una Nazione, ovvero un drastico taglio della spesa pubblica, sociale e non. A novembre dello scorso anno l'Italia era esattamente nella condizione sopra descritta, ad un passo da una deriva di tipo ellenico. E' bene che tutti lo rammentino, per comprendere con maggiore cognizione di causa il presente e attribuire nella giusta misura colpe e meriti, ma soprattutto perché il rischio non è del tutto scongiurato.

Si obbietta che alcuni dati macroeconomici rimangono critici, peggiori di quelli di un anno fa. Vorrei ricordare che nel frattempo la recessione mondiale si è aggravata e che forse nessun Paese, in una economia globalizzata, ha la forza di risolvere i suoi problemi da solo. Negli Stati Uniti, nonostante politiche monetarie molto espansive ed una flessibilità del lavoro a noi sconosciuta, il tasso di disoccupazione è rimasto per oltre 3 anni quasi invariato e superiore all'8%.

Oggi, rispetto a 12 mesi fa, paghiamo interessi sul debito inferiori di circa il 2,5%; nel 2012 sono venuti a scadenza e rinnovati titoli di Stato per 400 miliardi di euro. Il "nuovo corso" ha consentito un risparmio di circa 10 miliardi, che in proiezione, su un debito di 2000 miliardi, diventano 50 miliardi. Queste sono le cifre, sulle quali vale la pena di riflettere. Rappresentare il governo Monti come cinico impositore di tasse senza chiedersi cosa (o chi) ha provocato il loro aumento e quali conseguenze avrebbe avuto l'assenza di una forte azione di risanamento dei conti pubblici appare un esercizio che mistifica le cause ed ignora gli effetti di quanto accaduto. Anche perché un'analisi corretta non può prescindere dagli impegni assunti dal precedente Esecutivo nei consessi internazionali.

Già nelle prossime settimane si potrà capire come i Mercati valutano l'ipotesi di un possibile ritorno al passato. Per fortuna, l'Italia non è popolata solo da cattivi politici, malfattori di piccolo e grande cabotaggio, faccendieri, nullafacenti, opportunisti, prosseneti, sultani e loro favorite. Il panettone che essi ancora una volta mangeranno è pagato dal lavoro e dai sacrifici della maggioranza degli italiani, gente perbene che fatica, non evade le tasse e si lamenta il giusto.

Come quegli imprenditori che non hanno scelto la scorciatoia della delocalizzazione e non smettono di credere ed investire nel loro Paese. I dati Istat relativi al primo semestre di quest'anno confermano la vivacità dei più avanzati fra i nostri distretti industriali, che nonostante la crisi continuano a crescere in termini di export ed avanzo commerciale, ritornando in termini assoluti quasi ai valori di 5 anni fa.

Questo testimonia in modo eloquente che la nostra creatività, abbinata alla costante ricerca di efficienza, ci consente di competere ad armi pari su tutti i mercati. A loro, a tutti quegli operai, impiegati e dirigenti che quotidianamente svolgono il loro compito con professionalità, onestà e senso del dovere, ai lavoratori precari di ogni età ed estrazione sociale, ai giovani in cerca di occupazione, ai politici di ogni schieramento che non hanno dimenticato la cognizione di Bene Comune, a tutti i lettori di Teleborsa, auguri di buone feste.

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