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Eutanasia del sogno europeo

La crisi è lungi dall’essere risolta e inizia ad essere letta come una minaccia per la stessa Unione.

I recenti sviluppi della crisi economica mondiale non lasciano più dubbi: l’Europa si trova di fronte a sfide senza precedenti, dal punto di vista economico e sociale, ma anche da quello politico.

L’UE è chiamata a dare prova di reazione, di adattare i suoi strumenti e le sue scelte politiche, ma anche di proporne di nuovi. In altre parole l’Europa deve provare la sua utilità e soprattutto la sua credibilità nel mantenere la progettata rete di protezione in regime di mutuo soccorso, vincendo la diffidenza del dilagante euroscetticismo e riproponendo a pieno titolo la sua legittimità.

Detto questo l’analisi oggettiva non è delle più incoraggianti, sembra che la crisi dell’eurozona stia entrando nel terza fase.

Mentre tutti gli occhi sono puntati sullo stato comatoso della periferia dell’eurozona, i paesi “core” subiscono un primo tracollo economico. La Banca Centrale tedesca riduce le sue previsioni sul PIL teutonico ad un miserrimo +0,4% per il 2013 e l'Olanda vede per l'anno corrente una contrazione dello 0,5% del Pil arancione ed un proseguire negativo fino al 2014.

La prima fase, nel 2008, ha visto spostarsi l'epicentro della crisi dal Nord America all' Europa, con micro terremoti e tensioni interbancarie nell'Eurozona . La seconda fase ha visto il contagio ai debiti sovrani e messo sotto pressione le finanze pubbliche, cointeressate nell'appoggio al mondo bancario per il venir meno del puntello degli investitori.

Insomma l'originaria lettura che i paesi più forti dell'Unione Europea sarebbero stati in grado di sostenere finanziariamente i governi periferici e le banche in difficoltà, si è rivelata errata. La rimappatura della crisi, con il ritorno americano ad una crescita sostenibile (tant'è che si inizia a tratteggiare una prima exit strategy), ha rivisto il modello USA sopravanzare quello germanico che sta entrando in recessione tecnica nel momento più delicato della gestione della crisi, privando di fatto l'Europa del suo maggior motore di crescita.Un primo segnale a cui va sommato lo stato allarmante dell'economia olandese che si posiziona al secondo posto, dopo i tedeschi, per credito elargito alla periferia europea.

Tutte sbagliate, insomma, le stime di crescita che dal 2010 vengono ripetutamente proposte nei report della Troika, con esiti, ex post, indubbiamente scoraggianti e difficilmente gestibili per il semplice fatto che di questi si inizia fortemente a dubitare.

Una gestione siffatta, improntata al breve periodo e con la consapevolezza che rimandare le decisioni difficili non fa altro che aggravare il problema, finirà oltre ogni ragionevole dubbio a farci entrare nella terza fase della crisi, cioè far crollare la credibilità delle reti di sicurezza che hanno fino ad ora sostenuto i paesi più deboli, con rischio di sconquasso dell'intero progetto europeo, divenuto economicamente insostenibile.

Ma veniamo al punto cruciale; nonostante l’attenuarsi delle tensioni sui debiti sovrani europei abbia favorito un generalizzato calo degli spread, la ruota della crisi sembra stia girando nuovamente nella direzione più sgradita ai mercati. Si stanno manifestando focolai di crisi che potrebbero determinare un effetto contagio a Est dagli esiti imprevedibili. Un propagarsi nell’area ortodossa che ha già visto la Grecia e Cipro capitolare e attivare una sorta di “caso studio” con la Russia, capofila di un gruppetto tutto da vedere e monitorare, assurgere al ruolo di cavia per poter leggere in anticipo dinamiche, comportamenti e conseguenze, se la disgregazione europea dovesse prendere una brutta piega.

Insomma la crisi è lungi dall’essere risolta e inizia ad essere letta come una reale minaccia per l’unità, la coesione o addirittura per l’esistenza stessa dell’Unione, qualora l’Europa continuasse a posticipare decisioni che sarebbe opportuno da prendere al più presto.

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