(Teleborsa) - Alla fine gli USA non ce l'hanno fatta. Alla mezzanotte di venerdì 1° marzo è scattato il famoso "sequester", un programma di tagli indiscriminati alla spesa pubblica federale per ben 85 miliardi di dollari fino a settembre. Si spera ora in un possibile accordo al Congresso per evitare le successive tranche di tagli, che nei prossimi dieci anni potrebbero ammontare a circa 1200 miliardi di dollari.
Secondo alcuni esperti di Bloomberg questa prima tranche di tagli rischia di "togliere dalla scuola materna i bambini poveri, di prolungare i tempi di attesa per i controlli sulla sicurezza in aeroporto, di ridurre i sussidi alla disoccupazione e di mandare a casa molti dipendenti del settore difesa", insomma, rischia di minacciare seriamente la già traballante economia della superpotenza a stelle e strisce. Secondo altri, invece, il "sequester" non produrrà effetti immediati perché i tagli sono stati pensati per agire gradualmente nei prossimi sette mesi.
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dopo aver tentato un accordo dell'ultima ora ma senza esito, ha definito questi tagli "stupidi e non necessari". Secondo Obama il "sequester" non causerà una nuova crisi finanziaria ma si farà sentire sulla ripresa e soprattutto sul mercato del lavoro.
Nei giorni scorsi il Fondo Monetario Internazionale aveva avvertito gli Stati Uniti che se fosse scattato il cosiddetto "sequester", avrebbe potuto tagliare le stime di crescita della nazione dello 0,5% nel 2013 (oggi la stima è pari ad una crescita del 2%). Questa mossa potrebbe implicare anche una revisione al ribasso delle prospettive di crescita dell'economia globale, dato il peso dell'economia americana.