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Sentenza Unipol: giudici, "ecco perchè abbiamo condannato Berlusconi"

Politica
Sentenza Unipol: giudici, "ecco perchè abbiamo condannato Berlusconi"
(Teleborsa) - Silvio Berlusconi ha avuto un ruolo decisivo nella vicenda dell'intercettazione telefonica tra l'allora leader dei DS, Pietro Fassino, e l'allora Presidente di Unipol, Giovanni Consorte. E non solo era sveglio e vigile, ma anche consapevole dell'importanza a livello morale del suo benestare.

Così i giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Milano hanno motivato la sentenza che ha condannato Berlusconi a un anno di carcere per concorso in rivelazione di ufficio nell'ambito del processo denominato BNL-Unipol che vede Silvio e Paolo Berlusconi imputati per la pubblicazione su Il Giornale (di cui Paolo è editore) di stralci di intercettazioni telefoniche Fassino e Consorte, aventi ad oggetto la scalata di Unipol alla BNL.

Quelle intercettazioni, di cui è rimasta celebre la frase "abbiamo una banca", non erano state trascritte dalla magistratura perché ritenute irrilevanti, ma la loro pubblicazione era avvenuta nonostante il fatto fosse ancora coperto da segreto istruttorio. Tra l'altro, ebbe grandi echi mediatici e politici, penalizzando la sinistra durante la campagna elettorale per le imminenti elezioni del 9 aprile del 2006.

"Quella sera la registrazione audio venne ascoltata attraverso il computer, senza alcun addormentamento da parte di Silvio Berlusconi, o inceppamento del pc", spiegano i giudici, aggiungendo che "la qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino, rende logicamente necessario il suo benestare alla pubblicazione della famosa telefonata".

"Va inoltre considerato il periodo in cui venne effettuata la pubblicazione, a 4 mesi dalle elezioni e nel pieno delle vacanze natalizie, periodo di scarsa affluenza di notizie politiche più importanti: l'interesse politico delle intercettazioni era pertanto evidente così come la volontà di darvi risalto", si legge ancora nelle motivazioni.

Quanto alla negazione delle attenuanti, i togati spiegano che tale decisione deriva dalla "qualità di pubblico ufficiale" dell'ex Premier, e dalla "lesività della condotta nei confronti della Pubblica Amministrazione".
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