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Pugno di ferro di Erdogan con arresti ed epurazioni di massa

Dopo il fallito golpe in Turchia impressionante la rapidità e quantità degli arresti. In quasi 40.000 senza più lavoro. Comunità internazionale incredula

Politica
Pugno di ferro di Erdogan con arresti ed epurazioni di massa
(Teleborsa) - Dilagano le epurazioni in Turchia. Il Presidente Recep Tayyip Erdogan in persona dirige l'escalation della repressione dopo il fallito colpo di stato dello scorso venerdì. La rapidità e la quantità degli arresti è impressionante, si parla di 10.000 persone, per la maggior parte militari, di migliaia di civili licenziati dai posti di lavoro, di 15.200 dipendenti pubblici sospesi, tra cui circa 3.000 magistrati. La "purga" sta colpendo anche il mondo della scuola, con 21.000 docenti a cui sarebbe stata tolta la licenza di insegnare.

La comunità internazionale, sconvolta e al tempo stesso incredula, prende posizione. Amnesty International lancia l'allarme "per i diritti umani in grave pericolo". La Casa Bianca annuncia che il Presidente Obama ha telefonato a Erdogan per invitarlo al rispetto dei valori democratici, sottolineando come la ricerca dei responsabili del golpe debba avvenire "in coerenza con i valori democratici sanciti dalla Costituzione turca" e concludersi con "giusti processi". Ma il Presidente turco sembra proprio far orecchie da mercante, e non fa che ripetere l'intenzione di ripristinare al più presto la pena di morte.


Arresti ed epurazioni in quantità, quasi che liste dei proscritti fossero da tempo compilate. Sembra proprio sufficiente un generico sospetto di semplice simpatia per l'ex amico e ora acerrimo nemico Gulen, ed è fatta. Fuori da tutto, quel che è peggio col reale pericolo del rischio per la stessa vita.

Il "giro di vite" non poteva risparmiare l'informazione. Il Consiglio supremo per la radio e la televisione (Rtuk) ha deciso di revocare le licenze di 24 emittenti radio o tv "collegate o sostenitrici" del movimento ispirato a Gulen. Tra queste, la tv Samanyolu, l'emittente Can Erzincan e radio Dunya. Sono sospesi da funzione e stipendio e sono finiti sotto inchiesta 370 dipendenti e giornalisti della tv pubblica Trt.

La mannaia di Recep Tayyip Erdogan si è abbattuta anche su parte degli uomini dell'Intelligence de Paese, sospettata di contatti col movimento religioso capeggiato dall'ex imam Gulen, da tempo al sicuro negli Stati Uniti. E contro il predicatore Fethullah Gülen da vent'anni in America, il Governo turco ha annunciato di aver inviato a Washington il dossier con le prove che dimostrano come l'esule sia il vero regista del golpe fallito.


Il primo ministro Binali Yildirim ha dichiarato: "Sono quattro i dossier che abbiamo fatto avere all'amministrazione americana. Chiediamo l'estradizione di Gülen. Ha cominciato sin dagli anni Ottanta a infiltrare i gangli dell'esercito". Gulen, intanto, dall'altra parte dell'oceano replica e rilancia, sostenendo e accusando che il Colpo di Stato non sa stato altro che una farsa.

Ora Fethullah Gülen è divenuto ostacolo enorme alle sempre più difficili relazioni turco-americane. Il presidente Erdogan, che lo paragona a Bin Laden, ha dichiarato: "I media internazionali hanno persino intervistato Gulen in Pennsylvania. Ora, io vorrei chiedere a questi media: se avessero intervistato Bin Laden quando le Torri Gemelle sono state attaccate, cosa avreste pensato?". Intanto, il Segretario di Stato, John Kerry, si prepara a discutere il 20 e il 21 luglio a Washington la questione con il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che incontra durante il vertice internazionale per la lotta all'Is, in programma appunto nella Capitale americana.

Per quanto riguarda l'intenzione di Erdogan di reintrodurre in Turchia la pena di morte, le Nazioni Unite hanno fatto sapere che ciò sarebbe una violazione degli obblighi della Turchia previsti dal diritto internazionale dei diritti umani, "un grande passo nella direzione sbagliata", come l'ha definito l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Ra'ad Al Hussein.


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