(Teleborsa) -
Mario Draghi sarà nominato Presidente della Repubblica? L'Italia può davvero concedersi il lusso di mandarlo al Quirinale mentre sta cercando di mettere a terra un Recovery Plan da oltre 200 miliardi? Il tema è al centro dell'attenzione pubblica e dell'ultima
Ecopillola di Andrea Ferretti, Docente master in Scienze Economiche e Bancarie della Luiss Guido Carli, che
spiega perché il Premier non dovrebbe andare al Colle.
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E' un lusso che l'Italia al momento non può concedersi per un paio di motivi. Il primo motivo - spiega l'economista - è che la partita su questi 200 miliardi del
Recovery Plan inizia quest'anno e finisce nel 2026 e passa attraverso il raggiungimento e superamento di oltre
500 step intermedi e il varo di circa
60 riforme strutturali".
"Già quest'anno l'Italia, per ottenere i 40 miliardi previsti dovrà varare 23 leggi ordinarie e 43 atti normativi, tutti propedeutici al Recovery Plan. Banalmente questo vuol dire approvare più di cinque atti al mese e non è affatto poco", ricorda Ferretti.
"Andare a sostituire Mario Draghi durante la messa a terra di questo enorme programma d'investimento, che tra l'altro tocca tutti i cardini dell'apparato statale, è un po' come cambiare il regista durante la lavorazione di Ben-Hur. Oltretutto - afferma l'economista - la
politica proverebbe a riappropriarsi di alcuni spazi vitali al momento persi e verosimilmente a
sostituire, ad alcuni ministri di nomina draghiana, altrettanti
ministri di propria fiducia. Il che equivale - riprendendo il parallelo con Ben-Hur - a sostituire oltre al regista anche lo scenografo, lo sceneggiatore e magari anche il direttore della fotografia".
"Il secondo motivo che rende improbabile la nomina di Draghi al Colle - aggiunge Ferretti - è la possibilità che
si creino nuove contese politiche ed elettorali in grado di impedire una corretta messa a terra del Recovery Plan". Una ipotesi che a parere dell'economista avrebbe due conseguenze: nella migliore delle ipotesi
perderemmo la credibilità fino adesso acquisita a livello europeo e l'opportunità di contribuire attivamente, nel 2023, all'allentamento dei vincoli del
Patto di stabilità; nella peggiore delle ipotesi, tutto il
fardello del debito pubblico accumulato durante la pestilenza, oltre 2.700 miliardi, ci scoppierebbe in mano come un petardo".
"Allora la fine dei conti - ribadisce ferretti - è molto meglio che Mario Draghi rimanga esattamente dove sta, pensando alle sorti del Paese".