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Il Boy-scout e il Professore

Spettacolare autogol. Renzi voleva segnare a tutti i costi, ed ha messo la palla in rete, scartando ogni avversario: ma ha segnato a porta vuota, la sua.

Spettacolare autogol. Renzi voleva segnare a tutti i costi, ed ha messo la palla in rete, scartando ogni avversario: ma ha segnato a porta vuota, la sua.

Non c’è commentatore che oggi non si inchini alla prodezza, alla capacità manovriera: Renzi ha dapprima ricompattato il partito sul nome di Mattarella, e poi è andato a proporlo a muso duro a Forza Italia che si era forse illusa di trovare un nome condiviso. Anche il NCD si è fracassato, con Alfano che ha dovuto accettare la partecipazione al voto come condizione per la sua permanenza al Governo da Ministro degli Interni: un Aventino alla quarta votazione avrebbe dato luogo ad un contrasto insanabile con il nuovo Capo dello Stato, che nel frattempo sarebbe stato comunque eletto. A sinistra, tutti gioiosi, con Sel che ha fatto propria la proposta di un nome che mandasse in soffitta l’accordo con Berlusconi. Olè.

Fin qui la cronaca. Ma arriverà presto il tempo in cui Matteo Renzi si dovrà pentire di tanta fretta: ha fatto eleggere il candidato propostogli da Bersani, l’ultimo della terna offerta al centrodestra nel 2013, l’unico che non era stato bruciato dagli stessi PD, dopo Marini e Prodi. Di lì si ripartiva. Ogni altra candidatura, come quella di un grande italiano estraneo alla politica come Muti, peraltro mai ufficializzata e smentita dall’interessato, sarebbe stata inaccettabile per la minoranza PD.

C’è il potere e ci sono i facenti funzione. Anche Renzi rientra in quest’ultima categoria, come già fu per Monti e Letta prima di lui. Presidenti del Consiglio tirati fuori dal cilindro del prestigiatore per tirare fuori l’Italia dall’impaccio della crisi finanziaria del 2012 e poi dal nuovismo del Movimento 5 Stelle nel 2013.

Dopo il clamoroso successo elettorale serviva una faccia nuova, soprattutto giovane: qualcuno che desse l’impressione del cambiamento, un facente funzioni rispetto alla legittimazione democratica ottenuta alle elezioni. Bersani non calzava; per di più, aveva l’handicap della allenza con Sel. Così, cessata a settembre l’emergenza per l’intervento militare in Siria, che aveva indotto ad un governo di solidarietà nazionale sotto la guida atlantista di Enrico Letta, scambiata da FI con l’esenzione dall’Imu della prima casa per appena un anno, è stata la volta di Matteo Renzi: la guida spettava al Partito democratico. Ed è stato scelto perché era l’unico esponente politico capace di oscurare mediaticamente l’orda giovanilista, lo spirito anticasta e l’insofferenza verso le politiche di austerità marchiate UE. Serviva la lotta agli sprechi, l’abolizione delle auto blu messe addirittura in vendita su e-Bay, il bando ai Mandarini: tutto finalizzato a tagliare l’erba sotto ai piedi dei grillini. La scelta di Napolitano non poteva essere più azzeccata: il sistema di potere si è fatto giunco, si è piegato sotto l’onda di piena.

Anche il sistema di finanziamento pubblico dei partiti è stato fatto fuori, per la gioia dei centri di potere, senza che un minimo di democrazia politica venisse assicurata nei partiti: già, le primarie sono state il grimaldello utilizzato per fare saltare i vecchi equilibri di potere interni al Pd.

Veniamo all’oggi. L’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica non è stata compresa nella sua essenza profonda: è un politico che viene da lontano, che non ha niente a vedere con la politica spettacolo. Che conosce la storia politica italiana e le complessità del potere. Come Napolitano, se non assai di più.

Renzi ha fatto eleggere un Presidente della Repubblica che non farà sconti a nessuno, neppure a lui. Ha usato tutta la sua abilità: insolentendo FI, mortificando il NCD, rimettendosi nelle mani della sinistra del Pd e di Sel. Deve ricominciare tutto daccapo. Ma solo quando ci sarà il prossimo conflitto armato, in Siria o in Ucraina, capirà il vero autogol.

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