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Zuckerberg con Oculus Rift porta il 3D in Facebook

Scienza e tecnologia
Zuckerberg con Oculus Rift porta il 3D in Facebook
(Teleborsa) - Mark Zuckerberg ha di nuovo aperto i cordoni della borsa e, tirando fuori 2 miliardi di dollari, ha comprato la Oculus VR.

A prima vista sembra una delle operazioni commerciali messe in atto dal patron di Facebook per ampliare gli orizzonti e le capacità del più importante social network del mondo se non fosse che Oculus VR, fondata dall'oggi ventiduenne Palmer Luckey, si occupa di realtà virtuale.

Il prodotto di punta dell'azienda, il cui prototipo è stato realizzato dall'allora diciottenne Luckey nel garage di casa, sono dei visori tridimensionali, una sorta di monitor oculari portatili, denominati Oculus Rift, che rendono possibile e vivida un'esperienza di realtà virtuale.

Secondo quanto sostiene Luckey, e a questo punto anche Zuckerberg, gli Oculus Rift, nati con scopi ludici per rendere sempre più veridici i video game, sono una rivoluzione al pari degli smartphone.

Come per i telefonini di ultima generazione che in soli dieci anni hanno soppiantato i precedenti modelli e cambiato profondamente il rapporto con l'utente, gli "occhiali" di Luckey sono un'innovazione che, entro un periodo di tempo comparabile con l'evoluzione degli smartphone, segnerà l'inizio di una nuova era in molti campi. Le applicazioni, immaginabili per ora, hanno come limite la fantasia, mentre scienza, educazione, svago, medicina, comunicazione sono solo alcuni degli scenari d'impiego ipotizzabili.

Per ora il limite maggiore sembra la praticità del sistema: gli Oculus Rift sono molto più grandi di un paio di occhiali, ma è pur vero che la tecnologia fa sempre passi da gigante nella miniaturizzazione, come testimonia l'evoluzione dei telefoni cellulari passati dalle dimensioni e peso di un mattone ad un ingombro poco superiore ad una carta di credito.

La storia di Oculus Rift, di Palmer Luckey, di Mark Zuckerberg, al di là del fatto economico e tecnologico pur molto importante, ispira una riflessione sulla "facilità" con cui gli Stati Uniti continuano a "sfornare" innovazione tecnologica prodotta da giovani talenti. E' notevole la capacità di saper "sfruttare" la propria migliore materia prima, le menti dei propri ragazzi, che per qualità non è sicuramente superiore a quella di casa nostra. E' diversa l'attitudine di saper "ascoltare" le nuove idee, di promuoverle e di incentivarle, ed è imbarazzante come al confronto il nostro Paese, cronicamente affetto dalla "fuga di cervelli", impallidisce.
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