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Monetaristi giapponesi, keynesiani americani e naufragi europei

C'è sempre una buona ragione al mondo per stampare moneta.

Se si combina il fenomeno della deflazione prolungata nel tempo con il violento apprezzamento che ha subito in questi anni la valuta giapponese rispetto al dollaro ed all'euro, ne risulta un quadro ancora più sconcertante: nonostante i prezzi dei prodotti giapponesi scendano quando sono espressi in yen, il rafforzamento valutario li rende molto più cari rispetto al passato e le esportazioni si bloccano. Aumenta, paradossalmente la convenienza dei prodotti importati, perché lo yen vale di più. Si arriva al paradosso. Le ragioni del rafforzamento dello yen sono ben note, ed affliggono da tempo anche altri Paesi, come il Brasile o a Svizzera: i capitali in cerca di un porto sicuro cambiano divisa. Comprare yen, reaìs e franchi svizzeri provoca un apprezzamento sul mercato dei cambi ed una perdita di competitività delle esportazioni di questi Paesi: una contromisura è stampare moneta, altri yen, altri reaìs, altri franchi svizzeri. Ma questo comporta inflazione, conseguenza generalmente contrastata da tutti i governi, salvo che dal Giappone di questi ultimi due mesi.

Il cambiamento di strategia del governo di Tokio e della Banca del Giappone è radicale: si è deciso di stampare moneta per influire contemporameamente sul livello dei prezzi interni e sul valore dello yen. Mentre negli anni scorsi il Giappone aveva puntato a mantenere i tassi di interesse al livello più basso possibile per incentivare la produzione e gli investimenti, ritenendo che da un aumento del livello di attività economica ne sarebbe derivato immediatamente anche quello dei valori degli asset mobiliari ed immobiliari, adesso punta all'allargamento della base monetaria, prevedendone addirittura il raddoppio nell'arco di due anni. L'obiettivo è passare da un contesto deflazionistico ad uno inflazionistico, da un tendenziale apprezzamento dello yen ad una sua rapida svalutazione, da un accrescimento del valore reale del debito pubblico, che arriva al 260% del PIL, ad una sua progressiva erosione. Non basta che il tasso di interesse pagato sui titoli giapponesi a dieci anni sia dello 0,42%.

Il Giappone usa la sovranità monetaria come strumento di politica economica e valutaria. Se volesse bilanciare l'apprezzamento registrato dallo yen in questi anni rispetto al dollaro ed all'euro con misure non monetarie, dovrebbe tagliare di un buon 20% i costi interni, passando dalla deflazione monetaria in un contesto di crescita lenta alla depressione economica e finanziaria. Per recuperare competitività a quel livello di cambio dovrebbe abbattere stipendi e chiudere fabbriche, come si sta facendo in Italia, che soffre per un cambio dell'euro troppo alto.

C'è chi stampa moneta sperando di ravvivare l'economia reale, secondo l'impostazione keynesiana: USA e Gran Bretagna. C'è chi lo fa esclusivamente per far aumentare i prezzi e svalutare, secondo il dettato monetarista: il Giappone. Poi c'è l'Europa, in cui la moneta si sposta pericolosamente per tutti da un Paese all'altro, visto che abbandona l'Italia mentre si accumula eccessivamente ed inoperativamente in Germania. Un continente paralizzato, senza politica monetaria, che lentamente affonda.

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