Fino al 1951 le banche centrali furono in pratica uffici distaccati dei rispettivi ministeri del Tesoro. Furono sempre frequenti i casi in cui le banche centrali finanziavano il disavanzo del Tesoro, risparmiando a questo il ricorso al debito pubblico. Nel 1951, superati gli squilibri creati dalla guerra e riportato il debito pubblico a proporzioni accettabili,
il Tesoro americano e la Federal Reserve firmarono un'intesa in base alla quale la Fed non avrebbe mai più finanziato direttamente il Tesoro. Questa separazione, adottata per responsabilizzare il sovrano e costringerlo ad affrontare il mercato senza la comoda rete protettiva della banca centrale, fu poi adottata in tutti i paesi industrializzati ed è oggi regola generale.
Bella cosa, direte voi, ma
dal 1951 a oggi il debito pubblico non ha fatto che crescere e si è riportato in molti paesi sui livelli che in passato erano stati tipici dei tempi di guerra. Dopo la crisi del 2008 lo stock è salito di altri 20-30 punti percentuali su PIL (minori introiti fiscali e maggiori spese per gli ammortizzatori) ed è ancora gestibile solo perché i tassi da pagare sono a zero o negativi.
Ma che succederebbe se ci fosse un'altra crisi, anche più piccola di quella del 2008?Lo avete già capito, si tornerà al mondo pre-1951. I dettagli ve li spiegheranno gli altri docenti, ma intanto siano chiare due cose. La prima è che non è storicamente vero che la monetizzazione del debito genera sempre inflazione, così come non è vero che tutti quelli che oggi bevono un bicchiere di vino ai pasti finiranno i loro giorni da alcolizzati.
Tutti ricordano i guai della Germania del 1923, quando 2300 tipografie lavoravano giorno e notte per stampare marchi e
tutti hanno in mente lo Zimbabwe degli ultimi due decenni.
Pochi però ricordano il Giappone degli anni Trenta, che evitò la deflazione e la crisi con svalutazione e monetizzazione di nuova spesa pubblica. E nessuno cita il
Canada, che dal 1935 al 1975 fece più volte ricorso alla monetizzazione dei programmi di investimenti pubblici senza incorrere in inflazione aggiuntiva.
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