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Banche, chi soffia sul fuoco?

Chi e perché dà sempre la caccia al risparmio italiano

Molti fondi di investimento hanno chiuso i battenti, lasciando i clienti con i titoli in mano: nessuno di loro sa esattamente che cosa hanno come sottostante e che cosa accadrà in futuro. Magari ci sono investimenti nel settore minerario, della ricerca petrolifera, oppure crediti verso aziende di Paesi emergenti in crisi.

In questo contesto, dal 1° gennaio di quest'anno l'Europa ha tolto ufficialmente ogni protezione al suo sistema bancario, e non è un caso che dalla ripresa delle contrattazioni assistiamo ad una perdita generalizzata su tutti i comparti: ogni scusa è buona, dalle vendite di auto che vanno male in Russia e Brasile, ai rumors su indagini antifrode verso una casa automobilistica francese, alle rinnovate richieste di risarcimenti americani nei confronti della Volkswagen per il caso dieselgate.

E' anche sintomo di provincialismo non guardare quanto accade all'estero, anche se certo è ben magra la consolazione. Basta guardare alle quotazioni di Deutsche Bank, il cui valore si è praticamente dimezzato nel giro di pochi mesi: valevano 32 euro il primo luglio scorso, mentre il 1° gennaio sono arrivate a 18,9. Chi si lamenta, a ben ragione, del crollo dei titoli bancari italiani rispetto ai valori pre-crisi, non riflette forse sul fatto che il 1° aprile 2007, ogni azione della mitica Commerzbank tedesca valeva ben 220 euro mentre il 1° gennaio scorso veniva quotata ad 8 euro. Nello stesso periodo, Deutsche Bank è caduta da 98,4 euro a 18,9 euro.

Si è aperta la caccia al risparmio italiano: nel triennio 2010-2012, i mercati si infuriarono contro l'Italia, per la denunciata insostenibilità del debito pubblico. Il risultato economico fu devastante, per via della recessione determinata dalle manovre economiche dei diversi governi dell'epoca, da Berlusconi a Monti, ma ancor più drammatico è stato il deflusso di risorse finanziarie verso la Germania, ritenuta il porto sicuro all'interno dell'euro. Le banche tedesche hanno fatto il pieno di depositi, traboccano di liquidità con enorme beneficio per le imprese tedesche e per i bilanci pubblici che pagano addirittura tassi negativi sui prestiti e sui titoli emessi.

Da quando la Fed americana ha preannunciato di voler alzare i tassi, molti capitali europei sono volati oltre Atlantico, alla ricerca di rendimenti migliori. Le banche del nord Europa temono di vedersi svuotati i forzieri, e cosi ha ripreso a rullare il tamburo della crisi italiana.

Tanti sono i dossier aperti con Bruxelles: dalle clausole di flessibilità sul bilancio alla costituzione di una Bad Bank con garanzie pubbliche, dagli aiuti di Stato per il risanamento ambientale dello stabilimento dell'Ilva a Taranto alla presa di posizione dell'Italia, contraria al raddoppio del North Stream che fa arrivare il gas russo direttamente alla Germania. Il conflitto tra il Governo italiano e la Commissione europea sulla soluzione da dare alla crisi delle quattro piccole banche è stato dirompente: è evidente che si è aperto un conflitto in cui non si fanno prigionieri.

C'è chi cerca la delegittimazione dell'Italia nel confronto internazionale: era il 23 ottobre del 2011 quando, nel corso di una conferenza stampa al termine del Consiglio europeo, il duo Merkel e Sarkozy si scambiò un sorriso beffardo prima di rispondere ad una domanda sul Presidente italiano Berlusconi.

Non è casuale, in questi giorni, la polemica con il Premier italano Matteo Renzi da parte del Presidente della Commissione europea, il lussemburghese Jean Claude Junker, che addirittura ha ribadito che la colpa è dell'Italia, perché “non sa con chi parlare”.

Prima il debito pubblico italiano, ora le banche: è sempre al nostro risparmio che si dà la caccia. Mentre va tappare i buchi degli altri, il suo deflusso crea voragini nella nostra economia.

Occhi aperti: l'Italia è tornata sotto attacco.

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