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Vent'anni dopo

Il futuro non fa mai quello che pensiamo noi.

Nel 1980, con gli Stati Uniti sconfitti in Indocina, con l'Iran perduto e una presidenza Carter debole e incapace di arginare la crisi economica e il dissenso interno, l'Unione Sovietica appariva la potenza del futuro, in espansione veloce in Africa e in Asia centrale. L'Occidente sembrava destinato a una lunga fase di stagnazione e decadenza, l'economia mondiale aveva completato il suo processo di deglobalizzazione. Quanto alla Cina, già denghista da due anni, nemmeno i sinologi avevano la più pallida idea del boom economico trentennale che stava partendo.

1920. Los Angeles, Ottava StradaNel 2000, con l'Unione Sovietica scomparsa dalla scena, dominava ancora l'idea espressa otto anni prima da Francis Fukuyama sulla Fine della Storia, una sorta di pace perpetua kantiana sotto la tutela dell'unica iperpotenza americana. Il futuro appariva politicamente noioso ma oltremodo eccitante economicamente.

Nonostante la borsa ai massimi storici venivano pubblicati Dow 36000 e, poco dopo, Dow 100000, due libri che illustravano i nuovi target resi possibili, si pensava, dalla New Economy della rete (oggi il Dow è a 16000).

La Cina era in pieno boom, ma solo gli specialisti di mercati emergenti la seguivano. Per i grandi modelli econometrici delle banche centrali la Cina era quantité négligeable, non veniva nemmeno calcolata, non esisteva.

Nel 2013, due crash di borsa e una Grande Recessione dopo, il Fondo Monetario organizza un convegno in onore di Stanley Fisher con Rogoff, Krugman e Summers che si interrogano sconsolati sul perché il mondo cresca così poco da cinque anni e non offra prospettive molto migliori per i prossimi cinque. La stagnazione tecnologica, la rarefazione degli investimenti produttivi e la crisi della produttività sono oggetto di libri e di studi accademici. Nel frattempo, su un altro pianeta, le borse respirano a pieni polmoni l'aria frizzante d'alta quota e prevedono per loro stesse orizzonti di gloria. Quanto alla Cina, ombre e sospetti di ogni tipo le si addensano intorno da un paio d'anni, ma quando si tratta di mettere un numero nelle caselle di previsione sul Pil dei prossimi anni, nemmeno i più negativi osano scendere sotto il 5 per cento. La stragrande maggioranza, incluso il Fondo Monetario stesso, continua dal canto suo a proporre esclusivamente variazioni sul tema del 7 per cento di crescita, a perdita d'occhio.

(Nella foto: 1920. Los Angeles, Ottava Strada)
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