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Geopolitica

Economia e mercati vanno bene, ma il resto?

L'analogia più interessante, secondo la MacMillan, è quella tra la Germania guglielmina di un secolo fa e la Cina postmaoista di oggi. Due potenze inizialmente arretrate e chiuse in se stesse (prima di Bismark e prima di Deng) ritrovano la loro identità attraverso un processo di modernizzazione e di accumulazione impetuoso e squilibrato che le porta in tre decenni a colmare quasi completamente il distacco con la potenza dominante (la Gran Bretagna di allora e gli Stati Uniti di oggi).

Il progresso economico, premessa della forza militare, apre ai due paesi orizzonti inediti di potenza. La velocità della trasformazione è tale da rendere difficile prendere le misure esatte della propria forza. Come un adolescente che si scopre ogni giorno più forte ma non sa ancora bene quale sia il suo spazio nel mondo, la Germania di allora e la Cina di oggi oscillano tra l'introversione e l'aggressività. Teorizzano l'isolazionismo e la non ingerenza ma praticano in patria un nazionalismo a tinte forti e costruiscono con cura un potente apparato militare. La Germania guglielmina sembra avere modeste ambizioni coloniali (si accontenta di Kamerun, Togoland, Tanganyka e Sudwestafrika) ma costruisce da zero una marina da guerra avanzata che si avventura in mari sempre più lontani da casa. La Cina, dal canto suo, mantiene il profilo internazionale più basso possibile, teorizza l'assenza totale di ambizioni egemoniche, ma nello stesso tempo fa uso di toni sempre più aspri nella difesa del suo spazio geoeconomico nel Pacifico e li supporta con un rafforzamento militare nei mari, nei cieli e nella guerra elettronica.

The war that ended peace, Margaret MacMillanQuando qualcuno non sa bene come prendere le proprie misure anche chi gli sta intorno fatica a valutarlo e oscilla a sua volta tra sottovalutazione e paura esagerata. In questo clima nervoso gli automatismi dei sistemi di alleanze possono avere effetti devastanti. Lo abbiamo visto un secolo fa, potremmo rivederlo oggi nel caso, ad esempio, di un blocco navale cinese di Taiwan o dell'occupazione di qualche isola rivendicata dal Giappone? Al momento sembra proprio di no. Gli Stati Uniti non hanno nessuna voglia di onorare, nel caso, i loro impegni di alleanza e preferiscono delegare. Lasciano che Abe svaluti aggressivamente lo yen affinché il Giappone si reindustrializzi e si rimilitarizzi in funzione di contenimento della Cina.

Cina e Giappone sono d'altra parte abituati da vent'anni a mantenere le loro tensioni reciproche sotto controllo e il controllo è in ogni caso più facile se le rispettive opinioni pubbliche sono tranquille e non vanno distratte da problemi economici con la retorica nazionalista. Anche per questo i due paesi vogliono crescere il più possibile e stanno adottando allo scopo politiche analoghe di apertura al mercato.

La seconda area di tensione geopolitica rimane il Medio Oriente. La questione iraniana è stata declassata, nelle preoccupazioni dei mercati, con l'accordo raggiunto con gli Stati Uniti. Teheran avrà l'atomica, ma non operativa.

In realtà è da tempo che gli Stati Uniti perseguono una linea di compromesso con l'Iran e stanno di fatto lasciando a Teheran il controllo dell'Iraq non curdo e dell'Afghanistan occidentale, astenendosi da un intervento nella Siria alawita alleata dell'Iran.

(Nella foto: L’impossibile che accadde)
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