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La Sindrome di Stoccolma dell'investitore

La decisione della BCE di effettuare una serie di stimoli all'economia ha posto l'Europa in una condizione delicata, in quanto è diventata la prima delle superpotenze monetarie a tagliare il tasso di deposito sotto lo zero.

L'equazione dell'investitore – ridotta all'osso – è: sostegno uguale impossibilità di discesa strutturale, quindi qualunque cosa compro prima o poi salirà e la potrò vendere più cara. Come si vede, in questa equazione manca completamente qualunque rimando a elementi chiave dell'investimento come convenienza o efficienza (cioè rapporto tra rendimento e volatilità). A questa equazione di base se ne sono aggiunte due altrettanto importanti:

1) tassi zero uguale redditività zero, quindi qualunque cosa è meglio della liquidità;
2) tassi zero uguale leva gratis, quindi diamoci dentro.

Queste equazioni sono ormai parte del DNA del Nuovo Investitore.

Non c'è niente di sbagliato con l'aumento dei prezzi degli asset finanziari in quanto tali. Se sostenuti dai fondamentali economici, allora sono i benvenuti e sono giustificati. Ma oggi, molti di questi asset sembrano aver perso ogni contatto con la realtà. Parlo nello specifico delle obbligazioni, che si stanno muovendo in tandem con i prezzi azionari. Giunti a questo punto del ciclo, dopo anni e anni di stimoli, non possono avere ragione, perché se l'aumento dei prezzi azionari indica un'economia in ripresa, i prezzi delle obbligazioni dovrebbero andare nella direzione opposta. L'apparente contraddizione si spiega solo con la natura indiscriminata della ricerca di rendimento. Il dato che emerge è quello di una fase di elevatissima compiacenza sui mercati, con gli investitori che si continuano a prendere rischi di ogni tipo alla ricerca di rendimenti non più ottenibili altrove.

Ma se rischio e volatilità sono caratteristiche intrinseche dei mercati azionari, la vera incognita sono i mercati obbligazionari, dove, bonds emergenti a parte (anche qui per esclusione), si è formata la più imponente bolla speculativa di sempre, con gli investitori che acquistano per gran parte della curva da 0 a 10 anni rendimenti nominali pre-tasse inferiori all'1-2% a fronte di volatilità annue da tre a otto volte superiori.

Questa situazione esige da parte dell'investitore consapevolezza e una prudenza estrema, che è l'esatto opposto dell'estrema aggressività che era corretto avere su BTP lunghi e High Yield nell'estate 2012 e nei mesi successivi, quando i rendimenti di queste classi di asset erano frutti succosi da cogliere. Espresso in maniera esplicita: quasi tutti i bonds, corporate investment grade e governativi, appaiono a un'analisi obiettiva come bubboni gonfi di rischio di tasso e di rischio di credito, con ormai protezione minima offerta dal rendimento cedolare. L'assenza di alternative di investimento è un'aggravante e non una giustificazione. L'illusione che saranno le banche centrali a preoccuparsi della difesa di questi investimenti si scioglierà al primo accenno di inflazione o di crisi come un gelato al sole. Prima salirà il rischio di tasso, poi il rischio di credito.
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