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Achille-Renzi e la crisi-tartaruga

Inutile correre alle elezioni, con le riforme o senza: se prima non si rottamano le idee malsane, la crisi andrà sempre più avanti

Per Renzi, il traino degli 80 euro in busta paga è ormai logoro: l’estensione del bonus alle giovani mamme si è guadagnato appena il taglio basso dei giornali. Il lustro della Presidenza europea si è consumato, con un compromesso mediaticamente incomprensibile sull’aggiustamento al disavanzo strutturale, portato dallo 0,1% allo 0,4%: il deficit del 2015 rimarrà al di sotto del 3%, anche perché con il rapporto debito/PIL che abbiamo, non c’è da fare gli spiritosi. Per il resto, anche la comunicazione comincia ad essere stracca: serve il prodotto, che invece non c’è. Quello che c’era, è già stato venduto tutto.

Ecco perché è la crisi-lumaca ad essere più veloce dell’Achille-Renzi: ha puntato tutto sulla ripresa, sull’ottimismo, sui risultati, sulle riforme. Con le crisi incipienti di grandi complessi industriali, dal settore della siderurugia a quella della energia, con il settore bancario sempre cauto nella erogazione del credito e con i cittadini che temono per il futuro, anche l’idea di mettere il TFR in busta paga si sta dimostrando perdente. Sarebbe stato più intelligente detassare le tredicesime.

Serviva aprire un contenzioso pesante sulla missione della BCE, sul ruolo della moneta in Europa, sul fatto che sono state aiutate le banche e non i cittadini, che ora pagano per tutti. Ci si è limitati a prendere atto di una strategia insensata, quella del rigore a tutti i costi, che ha portando un intero continente a sfarinarsi: senza strumenti per crescere né una strategia credibile. Stiamo tutti appesi alle parole, di Draghi o di Junker: l’acquisto degli ABS o la flessibilità accordata sul Fiscal Compact hanno la stessa utilità dei frigoriferi al Polo Nord.

Bisognava rottamare le idee malsane, non gli uomini anziani: non è una questione di coraggio, ma di strategia. Anche questa, chi non ce l’ha non se la può dare.

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