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Italia non è più tempo per Arlecchino e Pulcinella

La sfida che abbiamo di fronte come paese, ma potremmo dire, come contesto globale è capire quali siano le radici di una crisi che sembra avvitarsi in un "loop" senza fine.

Abbiamo sposato, acriticamente, modelli culturali che non sono della nostra storia che ci sono stati imposti, ma non adattati e così abbiamo perso le radici della nostra storia fatta di artigianato, di piccole imprese, di sviluppo territoriale accompagnato da principi di solidarietà diffusi. Abbiamo sposato i mantra del "creare valore per gli azionisti", del "piccolo non è bello", di una finanza locusta che ci ha spolpati con operazioni finanziarie – derivati in primis –, ci ha impoverito e fatto vendere aziende che erano gioielli.

Una cultura dell'economia fatta solo di formule matematiche che tradisce la sua natura di scienza sociale e morale, quindi tutti a scommettere, sempre perdenti, in una roulette governata dal croupier. Non possiamo dare la colpa alla Germania che non ha mai tradito la sua storia fatta di manifattura e anche di finanza, ma governata nel proprio interesse.

La realtà è che siamo di fronte ad una crisi di uomini e di valori che hanno contribuito a metterci in questa situazione; la situazione del paese è da manuale per le regole che descrivono nei secoli le ascese ed il declino delle società. Le società non muoiono mai per morte violenta, ma per suicidio perché le élite al governo perdono la capacità di rinnovarsi negli uomini e negli ideali e finiscono per collassare.

Gli ideali del "bene comune" dei politici che ci hanno fatto uscire dal dramma del dopoguerra sono diventati gli ideali dell'interesse personale da realizzare anche a scapito degli altri, normalizzando comportamenti illeciti che ogni giorno osserviamo ormai passivamente. Il modello culturale nella sostanza, ancora oggi, sembra non cambiare mai da quello legato prevalentemente all'occupazione del potere.

La vera riforma da fare è quella morale e culturale perché i problemi non sono mai né tecnici né economici ma sono sempre e solo problemi di uomini. Potremmo drammaticamente andare avanti nel cercare i capri espiatori; certamente lo scarso standing dei politici europei, la composizione dei gruppi parlamentari, a cui noi troppo spesso abbiamo contribuito con un criterio residuale, hanno promosso interessi degli stati più forti e la Germania ha le sue colpe, ma quando gli altri passano la mano è più facile gestire il potere nel proprio interesse.

D'altro canto l'anima dei popoli è il risultato di storie millenarie che si trascinano ancora nel tempo e l'idea della supremazia tedesca ha profonde radici nella sua storia e nella sua cultura. Già Cesare nel "De bello gallico" parlando dei germani diceva: "id quod volunt credunt"; Tacito nella sua opera "Germania" evidenziava le caratteristiche di un popolo che già allora appariva orgoglioso ed indomito rispetto al decadente impero romano; Hegel affermava che l'ultima civiltà a sopravvivere sarebbe stata la cristiano-tedesca.

La Germania ha pagato a caro prezzo quest'anima con due guerre che l'hanno lacerata, ma il dolore fa riflettere e crescere senza intaccare la profondità del suo DNA. Così, oggi, pur con tutti i "se" ed i "ma" la Germania rappresenta forse l'espressione di una democrazia tra le migliori al mondo – o la migliore - e forse oltre a criticarla, quando ci sono le condizioni, si potrebbe provare ad affiancarci ad essa nella sfida storica di costruire un unione fondata sulla vera solidarietà tra paesi che si sono sempre affrontati in battaglia.

Oggi il progetto di un'Unione Europea rappresenta il disegno di aggregazione sociale più ardita, sfidante e lungimirante mai fatta nell'intera storia dell'uomo e la base per la costruzione di un ordine mondiale condiviso, di un "bene comune " verso cui tutte le nazioni dovrebbe tendere. Oggi, sembra però che si sia più vicini al caos che ad un ordine armonico; possibile che l'"homo sapiens" non sappia mai imparare dalla sua storia?
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