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La Svimez denuncia l’assenza di una strategia complessiva per lo sviluppo del Mezzogiorno

Serve una nuova politica industriale per il rilancio del Mezzogiorno


Un'idea di quello che servirebbe ce la dà il Presidente Giannola nelle sue valutazioni riassuntive. In premessa cita il documento rilasciato dal FMI in occasione della sua visita in Italia che, contrariamente alle previsioni ottimistiche del governo prevede un recupero dei livelli di reddito pre-crisi attorno alla metà degli anni venti. Detto documento è passato sotto silenzio al centro e in periferia. Sarebbe invece necessario un dibattito approfondito sul tipo di politica economica portata avanti dal governo rispetto a quella necessaria per rilanciare la crescita.

DisoccupazioneAl riguardo la Svimez ha effettuato una simulazione con il suo modello econometrico e ha calcolato che se si volessero recuperare nel 2020 i livelli del 2007 il Sud dovrebbe crescere al 2,7%. Il Nord all'1,5%. E nel 2007 – precisa il Presidente Giannola - eravamo in stagnazione già da dieci anni. Sono tassi non previsti dai documenti di economia e finanza emessi dal governo. Qual è l'obiettivo politica economica del governo a medio termine? Non si sa.

Come noto, il governo da un anno a questa parte si esercita a fare propaganda al suo Master Plan per il Mezzogiorno. Ma osserva Giannola il Master Plan dovrebbe essere un programma economico per il paese non solo per il Sud se è vero che non ci può essere vera ripresa del Centro-Nord senza una corrispondente ripresa del Mezzogiorno. Agganciare la crescita della domanda del resto del mondo non basta. Serve una spinta shock sulla domanda interna.

Il Sud ha perso il 30% sua capacità produttiva negli anni della crisi. E' stata accantonata l'attuazione del federalismo fiscale, ossia, della legge n. 42 del 2009 che prevedeva anche criteri importanti per il coordinamento della finanza pubblica e per i trasferimenti compensativi. In fatto quello che vede la Svimez è molta manutenzione dell'esistente e poca discussione delle politiche di sviluppo regionale che potrebbero innescare un processo di crescita sostenibile nelle regioni meridionali. Critica anche la politica industriale c.d. 4.0 perché essa presuppone un capitale umano ad alta qualificazione mentre la politica economica fin qui seguita dal governo sta riducendo in maniera più forte i trasferimenti dal fondo di finanziamento ordinario per le Università meridionali e portando risorse umane anche qualificate fuori dal Sud. Solo una giovane laureata su tre trova lavoro nel Sud.

Secondo me, servono programmi di sviluppo regionali coordinati in un vero e proprio programma economico nazionale. È singolare che nessuno vuole utilizzare questi termini, che le regioni a statuto ordinario subiscano passivamente la centralizzazione di molte loro competenze e che le organizzazioni sindacali non aprano vertenze con le regioni meridionali per affrontare i gravi problemi della crescita del reddito e dell'occupazione nelle regioni disastrate del Mezzogiorno. È singolare e per me incomprensibile, ma nessuno vuole parlare di programmazione economica anche se la Commissione europea la prescrive. Concludendo la manifestazione, il Sottosegretario alla Presidenza De Vincenti emblematicamente ha detto: “Non più programmazione calata dall'alto. Pur riconoscendo i meriti della programmazione degli anni '50 e '60, ha detto che il governo ha scelto un nuovo metodo: “dialogo diretto, vivo e forte con le regioni e con le città”.

Eppure – aggiungo io - quando furono istituite le regioni a statuto ordinario nel 1970 la missione fondamentale a loro assegnata era quella della programmazione dello sviluppo e il coordinamento delle attività degli enti locali. Intanto il dialogo può essere diretto e pregnante in quanto si svolga su piani precisi, completi e appropriatamente articolati nel tempo (PPBS) che riguardino non solo la politica regionale della UE o Industria 4.0 ma lo sviluppo economico e sociale di tutto il Paese e, quindi, anche delle regioni meridionali.

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