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Se non si scassa, non si aggiusta

Si forzano le regole sul piano della comunicazione. I fatti, forse, seguiranno

Si sono ribaltati i ruoli. Una volta, infatti, chi stava al Governo aveva il potere e l'onere di dare seguito al suo programma, mentre all'opposizione spettava il compito di contestare anche andando in piazza.

Tutto è cambiato, soprattutto in Italia, per un motivo semplice: i vincoli che sono posti a chi sta al Governo, non solo quelli giuridici a livello europeo ma anche quelli di fatto derivanti dalla sorveglianza del mercato e dei suoi tutori, sono tali e tanti che i veri contestatori ormai sono diventati i governanti.

Con questo sistema, rispettandone regole e vincoli, non c'è più niente da fare: è una sorta di gabbia, costruita per tutelare la libertà del mercato nei confronti della politica e degli Stati. C'è la Banca d'Italia che ammonisce in continuazione a non aumentare il deficit; c'è l'Abi che paventa altrimenti scenari da default di tipo argentino; c'è la Commissione europea che chiede in continuazione manovre correttive dopo aver rilevato scostamenti dal percorso concordato; c'è la Confindustria che prevede maggiore disoccupazione appena si toccano le norme in materia di assunzioni e licenziamenti; c'è l'Inps che stima indispensabile il continuo arrivo di nuovi immigrati perché con i loro contributi ci pagheranno la pensione; ed infine ci sono gli operatori sul mercato finanziario che shortano i titoli del debito pubblico italiano facendo schizzare in alto lo spread.

Rispettare questo sistema di regole porta i governi al collasso: lo ha sperimentato anche Matteo Renzi, che ha ottenuto dalla Commissione europea solo marginali spazi di flessibilità sul deficit, circa un punto e mezzo di PIL annuo, e che li avrebbe addirittura barattati con un accordo secondo cui l'Italia è il Paese di prima accoglienza per tutti i migranti che attraversano il Mediterraneo. Praticamente, il costo della accoglienza, che è stato stimato complessivamente in circa 5 miliardi per il 2017, è stato superiore al maggior deficit di cui abbiamo potuto beneficiare. Una vera e propria beffa.

Ecco che si gioca tutto sul piano della comunicazione. Mentre il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, si mantiene estremamente cauto sul da farsi, escludendo solo manovre correttive prima del nuovo bilancio, è Paolo Savona, l'economista cui è stato impedito di assumere questo incarico di governo per ripiegare su quello dei rapporti con l'Unione europea, che ci va giù pesante sul piano della comunicazione: prima ammonisce che occorre sempre prepararsi al peggio, perché il cigno nero può arrivare quando meno lo si aspetta; poi, lasciati passare un paio di giorni, rilascia una intervista in cui sostiene che bisogna andare a Bruxelles per ribaltare le regole attuali in materia di vincoli agli investimenti pubblici. Vuole ottenere a favore dell'Italia il via libera ad effettuarne di aggiuntivi in deficit per 50 miliardi di euro: è una somma corrispondente al nostro saldo positivo della bilancia dei pagamenti correnti, che non viene reimpiegato dal settore privato con altrettanti investimenti. Lo Stato deve supplire alla insufficienza del mercato: una granata lanciata sul mercatismo imperante. Uno shock dal punto di vista della comunicazione politica: prima il Cigno nero ed il Piano B sull'uscita dall'euro, poi un deficit aggiuntivo per investimenti di oltre 3 punti di PIL.

La destabilizzazione delle regole vigenti, ottenuta attraverso il martello della comunicazione personale, è stata la chiave di volta dell'azione politica del ministro dell'Interno Matteo Salvini: non passa giorno che non annunci il blocco di una nave carica di migranti, che non annunci che "è finita la pacchia dell'accoglienza a spese dello Stato", che i nuovi trafficanti di schiavi non troveranno più aperti i porti italiani, che non attacchi le ONG perché si farebbero strumento consapevole di questo traffico, che non metta in difficoltà con queste posizioni anche gli altri Ministri e lo stesso Presidente del Consiglio.

Anche sul decreto-legge in materia di assunzioni a termine e di rideterminazione dell'indennità di licenziamento, le polemiche sono state all'ordine del giorno: nella relazione tecnica c'è la previsione di 8 mila posti in meno all'anno, in virtù delle più stringenti misure sul rinnovo dei contratti a termine. Una previsione del genere contrasta nettamente con l'obiettivo del decreto, che è di tutelare i lavoratori: apriti cielo! Tutti a cercare "la manina o la manona", che avrebbe inserito furtivamente questa valutazione. Si è scoperto, ad un certo punto, che era stata formulata dall'Inps: ma si tratta, secondo una nota congiunta del ministero dell'economia e del lavoro, di una previsione discutibile, priva di solide evidenze scientifiche. Anche qui è continuata la battaglia mediatica, con il Presidente dell'Inps, Tito Boeri, che ha accusato i detrattori di "negazionismo economico". Alla fine, nessuno sa più di che cosa si sta parlando, perché la polemica politica ha avvolto tutto.

Siamo tornati al '68, mettendo in pratica a livello di governo quelli che allora erano solo gli slogan della contestazione giovanile.

Si forzano le regole sul piano della comunicazione. I fatti, forse, seguiranno.

"Se non si scassa, non si aggiusta".

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