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Gentiloni, ciabatte o scarponi?

Con Londra e Berlino bisogna trattare, ma senza timori

E' fin troppo difficile chiedere coraggio a chi non lo ha. Ma quando si accettano i ruoli, in politica, non ci si può tirare indietro: il tempo passa, ed è tiranno. In un quadro politico mondiale in continua evoluzione, chi aspetta di capire chi ha vinto per salire infine sul carro dei vincitori si troverà a proseguire a piedi.

Nessuno poteva immaginare che l'Inghilterra, minacciata da Barack Obama di essere messa in fondo alla lista degli alleati europei se avesse prevalso la Brexit, si sarebbe trovata un presidente come Donald Trump che invece inneggia alla scelta degli Inglesi di lasciare l'Unione. E la Premier britannica, da che era stata definita in modo irridente Theresa “May-be” per l'incertezza che aveva dimostrato sul da farsi, si è trovata ad essere il primo ospite con cui il neo Presidente americano ha trovato una intesa per il futuro.

Mai, e poi mai, Theresa May avrebbe immaginato di dover succedere alla carica di Segretario del Partito conservatore, dopo le dimissioni improvvise di David Cameron che aveva indetto il referendum sulla Brexit scontando su un voto contrario. Lei stessa, che era contraria alla Brexit, si è trovata così a gestire questo processo così importante per il futuro del Regno Unito e dell'Europa.

Lo stesso è capitato al nostro Paolo Gentiloni, che si è trovato da un momento all'altro catapultato nel ruolo di Presidente del Consiglio, dopo le dimissioni di Matteo Renzi determinate dalla sconfitta sul referendum costituzionale. Era già Ministro degli esteri, ma con un ruolo costantemente oscurato dallo stesso Renzi.

Le prime mosse di politica estera, con la riapertura per primi della ambasciata a Tripoli, hanno stupito per rapidità. C'è stata la reazione piccata di Tobruk, ma era scontata. A Malta c'è stato un Consiglio straordinario della Unione Europea, per proseguire nel tentativo di chiudere ai trafficanti di uomini provenienti da ogni parte dell'Africa la rotta mediterranea.

Ma a Malta si è parlato anche della nuova amministrazione americana: guai a chi si azzarda a dare una mano a Donald Trump.

L'Italia ospiterà il G7 a Taormina, il 26-27 maggio. L'occasione è importantissima, perché sarà il primo incontro con il nuovo Presidente americano. Si è capito che poteva essere l'occasione per ritornare al formato G8, sospeso dopo la annessione della Crimea alla Russia, invitando Vladimir Putin. Non solo, l'Italia poteva cogliere l'occasione per sollecitare anche la presenza del Presidente cinese Xi Jinping.

Insomma, da padroni di casa, avremmo avuto la possibilità di rilanciare il nostro ruolo, soprattutto nel Mediterraneo: gradito espressamente dagli Usa e probabilmente anche dalla Russia.

C'è stato uno stop: prima è stata Berlino, che ha fatto sapere di considerare esclusa la possibilità di ospitare Putin, poi anche la Gran Bretagna ha fatto capire che la questione delle sanzioni alla Russia non può essere rimessa in discussione.

La ostilità era scontata: se la Germania non vuole agevolare il disgelo tra gli Usa e la Russia, neppure la Gran Bretagna ha intenzione di lasciare estendere la presenza della Russia nel Mediterraneo, visto che dopo la Siria adesso Mosca appoggia anche il governo libico di Tobruk, e non vede di buon occhio il fatto che l'Italia faccia da garante in Libia.

Il gioco è delicato, ma non possiamo lasciarlo agli altri: la Germania ha contrattato direttamente con la Turchia per ospitare i migranti che avrebbero risalito i Balcani, accollando 3 miliardi di euro di aiuti alla Unione europea.

Adesso, per aiutare la Libia, tutti hanno il braccino corto: arriveranno, sì e no, qualche centinaio di milioni di euro. Dobbiamo fare passi avanti con Tobruk, e serve un sostegno continuo da parte dell'ONU.

Ma soprattutto dobbiamo superare l'ostilità di Berlino e di Londra, mentre possiamo contare sul supporto di Washington e di Mosca.

Non si può andare a Londra e promettere un negoziato ragionevole e costruttivo sulla Brexit, e farsi chiudere la porta sulla questione della presenza di Putin al G7.

Alle trattative non si va in ciabatte: servono gli scarponi.

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