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Importiamo braccianti, esportiamo ricercatori

L'Italia si accartoccia, cresce poco e male

Gente che va, gente che viene. Non è un film, ma la drammatica realtà di un Paese che cresce poco e male, come gran parte del Mondo.

A venire da noi, in Italia, sono migranti generalmente senza formazione, disponibili a fare qualsiasi lavoro a qualsiasi salario. Siamo ad un passo dallo schiavismo: in nome della raccolta dei pomodori che altrimenti rimarrebbero sulle piante a seccare, in nome della necessità di avere manovali che portino su e giù le cofane di calcinacci dei palazzi in ristrutturazione, in nome della assistenza agli anziani che rimarrebbero soli in casa senza nessuno che li accudisca. Gli immigrati lavorano come braccianti, manovali, badanti: tutti lavori che i ragazzi italiani non vogliono più fare. Lavori faticosi, talora pericolosi, sempre malpagati.

A questo punto, facciamoci due conti: quando compriamo al mercato della passata di pomodoro, nella confezione in vetro che contiene mezzo chilo scarso di prodotto sgocciolato, e la paghiamo assai meno di un euro, dentro quel prezzo il pomodoro è ciò che costa meno. Tra bottiglia, tappo, etichetta, preparazione, confezionamento e trasporto, abbiamo pagato una intera filiera produttiva e distributiva in cui la materia prima, il pomodoro, ed il lavoro di chi lo ha raccolto, non arrivano a 10 centesimi.

Abbiamo bisogno di immigrati che facciano da braccianti agricoli che stiano nelle campagne per ore ed ore sotto il sole, pagati a cassetta, con salari da fame, che dormano tutti insieme a centinaia, a migliaia, in bidonville nascoste chissà dove.

E' questa la dura legge del mercato: se non si facesse così, si afferma, saremmo invasi dai pomodori che arrivano dal nord-Africa e la nostra produzione rimarrebbe sulle piante. Gli schiavi li fa il mercato: che lo siano da una parte o dall'altra del Mediterraneo non cambia. E lo stesso vale per gli allevamenti degli animali, per l'edilizia, per l'assistenza agli anziani: bisogna risparmiare per stare a galla.

Intanto, i nostri giovani, diplomati, laureati e specializzati, non trovano lavoro e se ne vanno via all'estero. Molti hanno successo, non tutti per carità. Alle nostre aziende non servono: preferiscono rimanere nane, far quadrare i conti tagliando sugli investimenti e sui salari, prendendo a lavorare un immigrato qualsiasi purché costi poco.

Ecco perché l'Italia non cresce: spende miliardi per la formazione, tra scuole ed università, e poi manda a lavorare i suoi ragazzi all'estero, in cerca di un posto decente: “esporta” personale qualificato dal punto di vista professionale ed “importa” personale senza qualifiche.

Il paradosso dei paradossi è che il costo economico e sociale è immenso: buttiamo via i soldi della formazione, forniamo personale qualificato alle imprese degli altri Paesi, perdiamo reddito e capacità di pagare le pensioni.

Riflettiamo ancora: si dice che, se non avessimo il lavoro degli immigrati, i conti della nostra previdenza sociale ne risentirebbero assai, perché anche con questi contributi si tiene in piedi il bilancio pensionistico. Ma si tace sul fatto che c'è una enorme perdita di gettito contributivo derivante dalla emigrazione dei nostri giovani all'estero: è lì che pagano le tasse, ed è sempre lì che pagano i contributi sociali.

Insomma, se è vero che gli immigrati contribuiscono per l'8% alla formazione del PIL italiano, e che contribuiscono per 18 miliardi ai contributi sociali, è altrettanto vero che coloro che vanno via dall'Italia procurano alle altre economie vantaggi assai più rilevanti, in quanto guadagnano molto di più. Per farla breve: se un immigrato in Italia guadagna 300 euro al mese, ed un italiano che emigra ne va a guadagnare 1.200, il nostro INPS non ci ha fatto assolutamente un affare. Incassa contributi su 300 euro e perde contributi su 1.200 euro.

Il punto è, quindi, la struttura economica su cui si punta: se pensiamo di competere attraverso i bassi salari, con una produzione di basso valore aggiunto, oppure attraverso la crescita delle imprese che vendano prodotti di alta qualità e che hanno bisogno di personale preparato, dal marketing alla finanza.

Siamo ad un punto di svolta, determinato dalla finanziarizzazione della ricchezza e del suo accrescimento: una volta si doveva mettere su una impresa, assumere lavoratori, fare investimenti; ora ci si affida ad uno o più gestori, ai Fondi di investimento, che impiegano in prodotti sempre più sofisticati i risparmi o il capitale accumulato facendo impresa.

La ricchezza sempre più concentrata e virtuale, la povertà sempre più estesa e reale.

L'Italia si accartoccia, cresce poco e male: importiamo braccianti, esportiamo ricercatori.

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