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E' ancora un FinMeccano

Leonardo non ha convinto il mercato: gli errori si pagano, sempre

L'annuncio del piano industriale di Leonardo, che prevede ancora due anni di consolidamento, è stato accolto dal mercato come una doccia gelata. Caduta delle azioni del 12% in Borsa il primo giorno, con il titolo pure sospeso temporaneamente dalle quotazioni.

Chi segue da decenni le acrobazie di Finmeccanica, ora rinominata Leonardo, sa bene che è il frutto di stratificazioni progressive, spesso con acquisizioni di aziende di elettronica in difficoltà anche se con un passato prestigioso, trasformandola più che in una holding in una vera e propria galassia in cui le medesime funzioni si moltiplicavano a dismisura e molti prodotti si assomigliavano tra di loro.

Facevano eccezione tre grandi comparti, sostanzialmente autonomi: aerospaziale, ferroviario ed elicotteristico.

Gli errori di cui ora si pagano le conseguenze sono cominciati con lo shock globale provocato dall'attentato alle Torri gemelle di New York del 11 settembre 2001: da allora si è pensato che il driver dell'azienda dovesse essere quello della difesa e della Homeland Security, visto che gli stanziamenti pubblici arrivavano come la manna dal cielo, non solo negli Usa, per combattere il terrorismo e modernizzare le forze militari introducendo nuovi sistemi di controllo elettronico e di telecomunicazioni.

D'altra parte, ormai, la concorrenza nel settore civile dell'informatica e delle telecomunicazioni sembrava imbattibile, per la formazione di colossi in Giappone, Corea e Cina, che producevano miliardi di pezzi l'anno.

Fu così che Finmeccanica si lasciò abbagliare da un futuro tutto legato al mondo delle commesse pubbliche, che sono legate però a logiche di sistema, ad accordi tra governi e soprattutto alle altalene delle varie componenti politiche.

L'errore più clamoroso è stato l'acquisto di DRS, una azienda americana operante nel settore della sicurezza e della difesa e quotata in Borsa a New York, che venne strapagata: come è successo a Monte dei Paschi che acquisì Antonveneta ai prezzi più alti mai visti, proprio mentre il mercato crollava. Nell'aprile del 2008 l'operazione si concluse, al prezzo di 5,2 miliardi dollari, corrispondenti a 3,4 miliardi di euro al cambio di allora. Ed anche in questo caso, non si trattò solo di una acquisizione fatta a debito nonostante il contributo del governo italiano che dovette fare la sua parte per finanziare la quota di 1,4 miliardi di euro chiesta agli azionisti: nella pancia di DRS c'erano altri 1,2 miliardi di dollari di debiti netti. Pagata a premio, circa il 30% in più del prezzo di mercato già pompatissimo, oggi ne varrebbe sì e no la metà.

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