E' tempo di tracciare un bilancio del Qe deciso dalla BCE nel gennaio del 2015 ed attivato a partire dal marzo successivo: doveva portare l'inflazione ad un livello vicino ma non superiore al 2% annuo: un obiettivo clamorosamente fallito.
Basta vedere il numero indice dell'andamento dei prezzi al consumo riportato nel sito della stessa BCE: a marzo 2015, segnava 100,15 e tre anni dopo 103,01: un fallimento clamoroso ma non inatteso. D'altra parte, era ovvio che andasse a finire così: ci si è limitati ad acquistare, ripeto acquistare, titoli di Stato dagli operatori che li avevano già in portafoglio, in cambio di moneta nuova. E, naturalmente, questi operatori (banche, assicurazioni, Fondi, etc.) hanno usato questa moneta che non dovranno mai restituire alla BCE come hanno voluto: esattamente, nessuno sa dire dove sono finiti.
Nel frattempo, gli Stati europei hanno dovuto seguire le indicazioni del Fiscal Compact, con l'obiettivo a medio termine del pareggio strutturale del bilancio. L'unico effetto positivo è stato quello di vedersi ridurre il costo degli interessi. Ma niente crescita, niente ripresa vigorosa dell'occupazione.
Bisogna chiedersi a quale logica ha risposto il Qe, con questi 2.399 miliardi di euro usati per comprate titoli di Stato: solo ed unicamente per foraggiare i corsi azionari e la speculazione finanziaria. All'economia reale non è arrivato niente per investimenti, nemmeno quelli pubblici che servono a migliorare la produttività generale del sistema economico.
Gli acquisti sono stati effettuati sui titoli degli Stati aderenti all'Eurozona, sulla base della percentuale di partecipazione di ciascuno al capitale della BCE, che a sua volta è sostanzialmente rappresentativo del PIL: in pratica, la parte del leone l'ha fatta la Germania, poi la Francia, quindi l'Italia e la Spagna. A che cosa servisse comprare i titoli di Stato tedeschi, per i quali c'è una fila già lunga di compratori, non è chiaro: anzi, con i tassi di interesse negativi che ha determinato, ha contribuito alla deflazione dei prezzi. Una assurdità.
Quello che si doveva fare, e non è stato fatto, sarebbe stato comprare obbligazioni della BEI, la Banca Europea degli Investimenti, per ridurre i divari di produttività tra le diverse regioni: porti, ferrovie, moderne infrastrutture di telecomunicazioni, migliorando la infrastrutturazione dei centri urbani ed i collegamenti collettivi con gli hinterland.
Perché tutto questo non è stato fatto? Semplice: l'obiettivo è la deflazione dell'economia reale attraverso politiche di bilancio severe, ma tenendo vigoroso il livello della economia finanziaria attraverso la immissione di liquidità da parte della BCE. Occorre quindi distruggere capacità produttiva, chiudendo fabbriche e facendo fallire le imprese, visto che non c'è domanda sufficiente per tenerle aperte, e nel frattempo far gonfiare la bolla dei corsi azionari e dei Fondi di investimento. L'alta disoccupazione, nel frattempo, serve a tenere bassi i salari, ma alti i profitti.
Non esiste nessuna teoria economica che giustifichi tutto ciò, neppure l'ordoliberismo che prevede che si facciano fallire anche le banche che hanno investito male i depositi affidati loro.
Tra l'altro, gli acquisti di titoli di Stato effettuati con il Qe sono stati attribuiti ai bilanci delle singole banche centrali: gli investitori sono stati ben lieti di sbarazzarsi dei titoli di Stato, che avevano interessi bassissimi, per dedicarsi a nuove e più lucrose attività.
La BCE è il "compratore di ultima istanza": 2.399 miliardi di euro finiti chissà dove.
Il Qe? Un Bengodi per i soliti noti.