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Diciamo la verità


Vivere una vita al di sopra delle proprie possibilità produce anche l'effimera consapevolezza di essere i migliori, fino a quando si sbatte il muso sulla dura realtà, per certi versi inaspettata.

E' quello che è successo all'Italia e agli Italiani che dopo decenni, per vizi conclamati e virtù disattese, si trovano adesso a far di conto per contenere livelli debitori divenuti insostenibili e che, in seno all'Unione Europea, devono per forza accettare l'idea di non essere né i più belli e né i migliori.

Basta andare in giro per il mondo per accettare l'idea che la creatività italiana è solo un marchio sbiadito che necessita di una bella rinfrescata e che l'organizzazione collettiva dello stato e l'ideale di nazione non sono mai stati punti di riferimento cristallini. E siccome uno Stato fondatore dell'Unione Europea, come l'Italia, che mostra tutta la sua debolezza, indebolisce la struttura su cui poggia la convinzione di un'Europa unita, ecco che il maestro, rilevata la mancanza, ci manda dietro la lavagna, con le orecchie di asino ben in vista, per mezz'ora di vergogna.

E' doloroso accettarlo, ma è così. La metafora regge ed esprime pienamente il concetto di Paese messo alle corde dagli stessi compagni di scalata. Un componente del branco, ferito, che migra barcollando e senza direzione.

Parlare di credibilità internazionale è concetto inflazionato ed ampiamente dibattuto, ma vogliamo ribadire che le questioni della fiducia, della credibilità, della affidabilità, sono diventati nodi strutturali della crisi ed è scioccante pensare che la politica italiana, protagonista indiscusso di questa deprecabile situazione, tenti di sabotare il faticoso tentativo istituzionale di ridare una guida credibile al Paese facendo mancare un ampio sostegno condiviso.

Diciamo la verità, dobbiamo dare prova entro breve di poter tornare a fare i bravi... è l'ultima chiamata per un treno che non ripasserà più.

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