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Renzi? Pro-Triv, No-Triv, Boh!-Triv...

Il referendum solo per un "favore" nella marcia indietro

Facciamo un po' di storia: il Governo Renzi ha inizialmente condiviso la politica energetica favorevole alle perforazioni di pozzi di petrolio e di gas nel territorio italiano, sia sulla terraferma che in mare, iniziata con i Governi Berlusconi e poi proseguita dal Governo Monti.

Nove Regioni, nel 2015, avevano richiesto di sottoporre a Referendum popolare ben sei disposizioni normative in materia di coltivazione di giacimenti di idrocarburi: in particolare, quelle introdotte con il decreto legge "Sblocca Italia" approvato dal Governo Renzi (133/2013); con la legge di Stabilità per il 2015 approvata dal Parlamento con voto di fiducia sul Governo Renzi; con il decreto legge del Governo Monti (5/2012); con il decreto legge del Governo Monti in materia di infrastrutture, trasporti ed edilizia (83/2012).

Con l'articolo 1, commi 240, 241 e 242 della legge di Stabilità 2016, approvata dal Parlamento con voto di fiducia al Governo Renzi, sono state modificate le norme oggetto di cinque delle sei richieste referendarie: il Governo Renzi ha cambiato nettamente politica, passando da un atteggiamento favorevole alla coltivazione dei giacimenti energetici, palesemente "Pro-Triv", ad uno nettamente contrario, assolutamente "No-Triv".

L'Ufficio centrale per il Referendum e poi la Corte costituzionale (sentenza 16/2016) hanno quindi dichiarato precluso lo svolgimento di cinque referendum, per via della approvazione della normativa sopravvenuta.

Scheda referendum No-Triv

Per un unico quesito, invece, la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale (sent. 17/2016) hanno mantenuto in piedi la richiesta del referendum, ancorché sulla base della modifica apportata sempre dal Governo Renzi alla norma su cui inizialmente si sarebbe dovuto svolgere: l'articolo 1, comma 239, della legge di Stabilità per il 2016 aveva modificato la norma su cui era stato richiesto il referendum, ma con una formulazione non idonea a farlo venir meno: infatti, pur vietando le nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa, era stata introdotta una modifica a favore dei titoli autorizzativi già rilasciati, commisurandola alla "vita utile del giacimento", prevedendo quindi una proroga automatica della concessione nel caso che la loro "vita utile del giacimento" superasse il termine inizialmente previsto per la durata della concessione. In questo modo, le compagnie che avevano un titolo concessorio in corso di validità avrebbero potuto continuare lo sfruttamento del giacimento: a loro piacimento, e soprattutto rinviando le spese di chiusura dei pozzi e lo smantellamento delle trivelle.

In pratica, se non ci fosse stato questo favore per gli impianti esistenti, che possono andare avanti anche oltre la scadenza della concessione fino al termine della "vita utile del giacimento", anche il sesto referendum sarebbe stato precluso dalla nuova normativa "No-Triv".

Il Governo Renzi ha cambiato rotta: prima "Pro-Triv", poi "No-Triv". Ma in quest'ultimo caso, la marcia indietro non era stata fatta bene.

Sull'unico quesito referendario rimasto in piedi nonostante tutto, ma solo per via di un evidente favore, i cittadini sono stati invitati a disertare le urne referendarie.

Cittadini, lasciate perdere, non vi impicciate: "Boh!-Triv".

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