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Colpi di Sole

Sole 24 Ore, il vero danno reputazionale è per Confindustria

Si illude chi pensa che basti cambiare il Direttore del Sole 24 Ore per restituire credibilità alla testata, e soprattutto alla Confindustria, il suo vero Editore. Non ci sono di mezzo solo una ricapitalizzazione di almeno 50 milioni di euro, ma l'azionista di riferimento che da mesi traccheggia sul da farsi e sulle staffette di Presidenti, amministratori e direttori che si sono susseguiti in questi anni, dilapidando il valore di Borsa e reputazionale del più diffuso quotidiano economico italiano.

La crisi della carta stampata è generalizzata, il decollo della diffusione digitale impervia ed incerta per chiunque, non solo in Italia: perché mai, allora, cercare di celare la verità? Per due motivi.

Primo. Chi si è impancato quotidianamente in questi anni ad impartire lezioni all'universo mondo, e soprattutto al governo ed alle forze politiche tacciate continuamente di inettitudine e lassismo, e che ha preteso di insegnare al colto ed all'inclita come si fa impresa, come si fa innovazione, come si reagisce alla crisi, è stato la prima vittima di una sindrome negazionista. Vittima delle ricette che propina con enorme boria ed altrettanta eccezionale superficialità.

Secondo. Se la realtà economica dell'azienda faceva paura, era lo specchio del disgregarsi irreversibile di un mondo. Quello di cui Confindustria è stata la rappresentante principale, da sempre: il libero mercato che si fa scudo del sistema pubblico, che ha sempre qualche cosa da chiedere. Perché, quando qualcosa non va per il verso giusto la colpa è sempre della corruzione in politica, degli sperperi della Pubblica amministrazione, e mai anche di una classe imprenditoriale inetta. Una classe dirigente che pensava che bastasse abbattere i monopoli pubblici e privatizzare le aziende di Stato per far andare meglio l'economia. Era una semplice sostituzione al posto di comando, ma neanche quello sono stati in grado di fare: le grandi imprese pubbliche si sono liquefatte. Mentre per anni si è denunciata la assurdità delle imprese italiane vincolate dai lacci e lacciuoli imposti dallo Stato, dalle Regioni, dai Comuni e da qualsiasi autorità munita di un timbro, si è lasciata avanzare la legislazione europea, scritta su misura per tutelare gli interessi delle multinazionali straniere.

Questa è stata la colpa più grave: il provincialismo infantile di chi pensa che le leggi degli altri siano più eque di quelle nostrane, e che i delinquenti abitino solo da noi. Il vincolo esterno, le normative europee sono state portate in auge come il toccasana, mentre sono servite per lasciare le nostre imprese senza tutela. Chi ha potuto ha delocalizzato, gli altri hanno venduto. Per continuare a fare profitti bisogna tagliare i costi del lavoro, l'unica flessibilità che è rimasta nelle mani del sistema imprenditoriale italiano. Il mito del mercato a tutti i costi è stato fatale: invece di investire, ci si è limitati a chiedere invariabilmente la flessibilità del mercato del lavoro e la riduzione del cuneo fiscale.

Hanno scambiato un miraggio per la realtà, l'austerità fiscale per una virtù. Hanno inseguito nel deserto della crisi un riflesso accecante di acque in lontananza, che a mano a mano svaniva. Il Sole, con l'intera Confindustria schierata a fianco della Unione europea, ha incitato tutti a correre, verso il nulla: “Fate presto!”. Siamo passati dalla recessione alla depressione, con le banche che ora barcollano mentre un buon quarto della produzione industriale è evaporato definitivamente. Colpi di Sole.

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