Il successo del M5S al Sud, e quello della Lega al Nord, tracciano un confine, che supera quello tradizionale tra destra e sinistra. Sembra nuovo, ma è quello di sempre.
Il movimento guidato da Luigi Di Maio, a ben vedere, ha ereditato un bel po' di parole d'ordine del vecchio PCI, ben rivisitate.
"Onestà, onestà!", il refrain preferito dei grillini, richiama in modo spudorato l'affermazione di Enrico Berlinguer, che condannava la corruzione negli altri partiti, gridando dai palchi: "Noi abbiamo le mani pulite!". E che dire, poi, dello slogan secondo cui "uno vale uno"?: fa pari e patta con il principio di uguaglianza predicato ossessivamente dai comunisti di un tempo. Sulla necessità di un "reddito di cittadinanza" per aiutare i disoccupati, e soprattutto i giovani, non c'è invece nessun precedente, salvo il "pre-salario" che secondo i comunisti di un tempo andava comunque garantito agli studenti: i comunisti si battevano soprattutto per il diritto al lavoro. Stavolta, invece, siamo di fronte ad una sorta di redistribuzione assistenziale dei redditi, tra chi ha un lavoro e chi no, attraverso lo strumento fiscale: è l'obbrobrio che i comunisti hanno sempre combattuto e con cui la Democrazia Cristiana campava di rendita, distribuendo nel Mezzogiorno un diluvio di indennità di invalidità e di pensioni sociali, motivate dalla incapacità di trovare lavoro.
Questo, purtroppo, è il canto delle sirene che probabilmente ha attratto l'elettorato meridionale, afflitto da una disoccupazione giovanile senza precedenti. Non basta, quindi, proclamare il "reddito di cittadinanza" per fronteggiare le conseguenze della inarrestabile trasformazione tecnologica che fa evaporare i posti di lavoro come acqua nel deserto, e la disoccupazione di massa determinata dalla globalizzazione e dalle delocalizzazioni. E', sicuramente, una scorciatoia.
Non è che vada molto meglio sull'altro fronte, quello del Nord in cui la Lega ha stravinto: qui vanno forte le politiche che rivendicano la sovranità nazionale rispetto all'Europa, anche sul versante della moneta, e quelle keynesiane che si fondano sugli investimenti pubblici finanziati in disavanzo. E' un ritorno al passato, anche in questo caso. Le imprese del nord Italia, non scordiamolo, riuscivano ad essere competitive sui mercati internazionali per via delle continue svalutazioni: più forti sul dollaro, per ridurre il costo delle importazioni; più deboli rispetto al marco, per battere la concorrenza. E poi, c'era quella meravigliosa inflazione che consentiva agli imprenditori, che si erano indebitati fino all'osso per investire nelle loro imprese, di restituire molto meno di quanto avevano preso a prestito: quella sì che era una vera e propria mannaia per i rentier. Il ritorno alla sovranità monetaria è dunque funzionale ad una competizione equilibrata, visto che la Germania si avvale di un euro sottovalutato mentre l'Italia è penalizzata da un euro troppo forte.
Se sono state sicuramente superate le barriere ideologiche del Novecento, rimangono in piedi le culture sociali di sempre: il Nord privilegia la produzione, il Sud la distribuzione.
Siamo rimasti fermi ai tempi di Miglio, il teorico della Lega Nord, che predicava la necessità di una alleanza tra i produttori.
Un ritorno al passato, nell'Italia post ideologica.
Tagliata in due, come una mela.