Questa strategia ha deformato l'atteggiamento delle
imprese, che hanno puntato tutto sull'abbattimento dei salari anziché sulla innovazione dei processi produttivi che porterebbero all'identico risultato mediante investimenti in innovazione di impianti e nuove tecnologie. E quando si lamentano della carenza di professionalità elevate, trascurano il fatto che c'è una concorrenza internazionale sul fattore lavoro. I ragazzi italiani ormai preferiscono andare a lavorare all'estero, con stipendi più elevati.
La reazione imprenditoriale è sempre la stessa: si chiede la riduzione del cuneo fiscale, il che significa maggior salario netto in busta paga a parità di costi per l'impresa e minor gettito fiscale; più flessibilità nei contratti; più immigrazione a basso costo.
Il sistema che è stato messo in campo è autodistruttivo, nonostante i correttivi introdotti per ridurre l'imposizione fiscale nei confronto di chi rientra o viene a lavorare in Italia con provenienza dagli altri Paesi della Ue: mentre "esportiamo" la capacità produttiva dei giovani cervelli che all'estero guadagnano di più, e la capacità di spesa dei pensionati che pagano meno tasse in Paesi stranieri come il Portogallo o la Tunisia, "importiamo" manodopera poco qualificata.
Abbiamo messo in piedi un modello che penalizza gli investimenti e l'impiego di personale qualificato. Un
sistema che si basa sul precariato, a salari sempre più bassi.
Bisogna detassare gli investimenti, non i bassi salari.
L'Italia ha un modello socioeconomico sconclusionatoEsportiamo cervelli e pensionati,Importiamo braccianti e badanti(Foto: © lucadp / 123RF)
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