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Italiani tra i più pessimisti in Europa sui propri investimenti

Economia
Italiani tra i più pessimisti in Europa sui propri investimenti
(Teleborsa) - L’andamento dei mercati finanziari degli ultimi anni e l'instabilità economica globale ha reso gli italiani più timorosi riguardo i possibili rendimenti che si possono realizzare investendo nelle varie asset class. Solo il 55% degli investitori italiani infatti è ottimista riguardo i propri investimenti nei prossimi 12 mesi: si tratta della più bassa percentuale tra i paesi europei dopo la Francia (51%). Nettamente più ottimisti paesi come la Svezia (73%), il Regno Unito (68%), Spagna e Germania (66%). Non solo: si rileva anche un decisa riduzione degli ottimisti rispetto ad un anno fa, quando così si dichiarava il 63% degli investitori italiani. È la nuova fotografia realizzata dalla Global Investment Survey – giunta al quarto anno – realizzata da Legg Mason Global Asset Management. L’indagine è stata realizzata in 19 paesi e ha raccolto i dati di oltre 5000 rispondenti.

Tra le cause che potrebbero incidere sull'andamento positivo degli investimenti, il 42% degli investitori italiani vede l’instabilità economica globale mentre il 24% considera pericolosa l’instabilità economica della nostra nazione. L’86% degli investitori, inoltre, afferma che la recente volatilità sui mercati è qualcosa che non si era mai visto in precedenza.
Ad impattare sulle decisioni di investimento del 55% degli italiani intervistati sono le misure prese dalle Banche Centrali sui tassi di interesse mentre il 45% si fa guidare da indicatori macroeconomici come PIL, salari, tasso di disoccupazione.

Forse è anche alla luce di queste considerazioni che la maggioranza degli investitori italiani (56%) è più focalizzata su un orizzonte di breve periodo quando guarda ai ritorni. È la più alta percentuale in Europa (la media tra i paesi del nostro Continente è 39%) e a livello globale (33%). Più “attendisti” si dimostrano i Millennial italiani: il 68% è focalizzato sul lungo periodo, molto più di quanto lo siano i coetanei europei (62%) e globalmente (54%).
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