L’azionario, fiscal cliff permettendo, continuerà a salire almeno fino a primavera. L’Europa andrà meglio di tutti. Verrà vista (fin troppo) come un turnaround, è sottovalutata, avrà la valuta più forte. L’economia non importa, è il posizionamento che farà tutto.
Gli emergenti usciranno lentamente dalla fase opaca che hanno attraversato. Le loro valute si riprenderanno moderatamente e lo stesso faranno le loro borse. Niente di trionfale, in ogni caso.
L’America vedrà grandi rotazioni azionarie. L’astro nascente è la chimica, grande beneficiaria dell’energia abbondante e a basso costo. Interessante l’edilizia, dopo la correzione di queste settimane, e tutto ciò che ruota intorno alla casa. Buone, nella tecnologia, soprattutto le aree che non soffrono della concorrenza. Buoni, nel petrolio e nel gas, solo i titoli di società che operano nei nuovi El Dorado di Bakken, Marcellus ed Eagle Ford. Abbastanza buono il settore auto. Buone le banche esposte all’edilizia, se riusciranno a non farsi dissanguare dalle cause civili e dalle multe continue dei regolatori.
Non esagerare con il corto yen, lungo Nikkei. Le ricette del partito liberaldemocratico tornato al potere sono quelle di sempre. Hanno funzionato poco in passato e difficilmente faranno miracoli questa volta.
La storia del Giappone dal 1989 a oggi è in fondo l’obiezione più inquietante all’idea di uscire dall’obbligazionario ed entrare sull’azionario. Come il Giappone, tutto l’Occidente invecchia, si indebita, monetizza e cresce poco. Come non manca mai di ricordare David Rosenberg, i bond decennali giapponesi, negli anni, hanno reso molto più della borsa. C’è però una differenza decisiva. La vitalità e la profittabilità delle imprese americane (e, in qualche misura, anche europee) è ben maggiore rispetto a quelle giapponesi. Certo, gli utili (e ancora di più i margini) hanno probabilmente finito di salire, ma i multipli sono ancora espandibili, mentre le cedole dei bond non lo sono.
Buone feste a tutti.
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