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Brexit

La realtà smentisce tutte le previsioni


Quello che ora rischia il Regno Unito è di non fare passi avanti in nessuna delle due direzioni, di non riuscire cioè né a staccarsi sovranisticamente dall'Europa (diventandone di fatto ancora più succube in cambio di una finta indipendenza) né a proiettarsi coraggiosamente verso il mondo. Il risultato è un limbo frustrante, che rischia di protrarsi ancora molti anni (l'anno prossimo ci sarà l'uscita formale, ma non cambierà molto perché si aprirà immediatamente un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2020, che probabilmente verrà prolungato ulteriormente). In questo limbo il regno soffrirà di una seria crisi di identità, non sarà né carne né pesce, così come non ha identità Theresa May, capace solo di galleggiare nel magma dei malumori del paese e di negoziare al ribasso con un'Unione Europea che, bastonata da Trump, cerca a sua volta di bastonare più che può la provincia ribelle. E sul tutto aleggia Corbyn il socialista, che con la sua presenza ingombrante e temibile costringe l'establishment ad arroccarsi nell'immobilismo e a prolungare il più possibile una legislatura nata debole e confusa.

Per questo, senza essere particolarmente pessimisti, è difficile essere positivi sugli asset del regno. L'immobiliare non andrà in crisi seria perché l'Inghilterra ha bisogno di case, ma si dovrà dimenticare i rialzi degli anni scorsi, trainati da una domanda di immigrati di lusso che per qualche anno sarà più debole. La sterlina dovrà ancora indebolirsi, anche se non di molto. In borsa andranno quindi favoriti gli esportatori, compatibilmente con i dazi europei e americani in via di innalzamento.

Rimarranno al Regno Unito due grandi carte. Una è la flessibilità, che ha permesso a Osborne di tagliare nel 2014 mezzo milione di statali (subito riassorbiti dal settore privato) senza scioperi e tragedie sociali e alla Bank of England, dopo Brexit, di intervenire agilmente e aggressivamente per ammortizzare la scossa. Questa flessibilità, già nella seconda metà del prossimo decennio, permetterà di recuperare il tempo perduto. La seconda carta sarà quella di porto sicuro fuori da un'Unione Europea sempre più agitata e incapace a sua volta di trovare una strada.

Venendo al breve termine, fra due settimane avremo i dati sugli utili del secondo trimestre, che saranno buoni e che cadranno in una fase in cui l'America sta crescendo a una velocità perfino superiore al 3 per cento. Quanto ai dazi, dopo le elezioni di novembre la pressione americana si allenterà. L'anno prossimo sarà più difficile per le borse, ma per il 2018 non è così azzardato pensare, dopo la correzione in corso, a un'ultima gamba di rialzo più avanti nell'anno.
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