E c'è un'altra considerazione importante. Le perdite in cui si sarebbe incorsi negli scenari greco e argentino sarebbero state a titolo definitivo. Una volta che si è oggetto di un bail in si deve dire addio ai propri soldi.
Quando una moneta svaluta, spesso è per sempre. Anche patrimoniale e nazionalizzazione comportano una separazione definitiva dai propri soldi.
Quando invece una borsa scende, se si rimane investiti, si può avere la legittima aspettativa (se il mondo non crolla e se si è costruito un portafoglio diversificato) di rivedere un giorno quello che si sta perdendo oggi. Per un'obbligazione questo è ancora più evidente. Se non si verifica un default, alla scadenza si avrà comunque il rimborso pieno con gli interessi.
Tornando a due mesi fa, il petrolio
Brent era a 86 dollari, oggi è a 55.
Il petrolio debole danneggia i titoli petroliferi e rallenta gli investimenti del settore. Per i paesi produttori è ovviamente negativo, anche se questi livelli sono per quasi tutti ancora sostenibili. Per tutti gli altri settori e paesi (tra cui in particolare l'Italia) il greggio debole è una benedizione e dà un importante contributo a tenere bassa l'inflazione.
Fino a tempi recenti l'inflazione appariva avviata verso un rialzo accelerato. I tassi, di conseguenza, erano previsti in rialzo marcato negli Stati Uniti e prossimi al risveglio in Europa. Oggi l'inflazione è in costante decelerazione. Rimane un po' di tensione solo sulle retribuzioni, ma finché quel punto in più rispetto ai prezzi al consumo è supportato dalla crescita della produttività gli aumenti salariali, come ha detto
Powell, sono benvenuti.
Questa distensione sul fronte dell'inflazione sta iniziando a rendere possibile una stretta monetaria meno pronunciata. Il mercato, nel suo pessimismo, pensa che la Fed stia riducendo il tasso terminale perché è preoccupata per l'economia che si sta indebolendo. In realtà la Fed, a leggere le indicazioni del vicegovernatore Clarida per la prossima fase, basa le sue scelte sull'andamento dell'inflazione.
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