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Ma chi ti riconosce?

C'era una volta un credito, ed or non c'è più.

Il fatto è che sono stati pagati i crediti più recenti, quelli iscritti nei bilanci come residui passivi: somme di cui c'era l'immediato riscontro amministrativo e contabile. Tutto il resto di cui si discute, gli altri 23,7 miliardi entro settembre per i quali ci sono gli stanziamenti, e poi successivamente anche gli altri per arrivare alla stima di 100 miliardi, sono somme di cui è molto difficile ottenere pagamento.

Innanzitutto perché prima di pagare, come il Governo dice di voler fare, l'ente debitore deve innanzitutto riconoscere il credito. La legge prevede infatti che il credito debba essere preventivamente certificato: deve essere certo, liquido, esigibile e non prescritto. In pratica, le pezze d'appoggio devono esserci tutte: la fornitura o i lavori devono essere stati effettuati con tutti i crismi, consegnati, accettati e collaudati.

Qui sta il problema: si tratta di forniture e lavori che risalgono a diversi anni fa, di cui non sempre è facile ricostruire la vicenda amministrativa. Magari il credito non è stato mai saldato perché ci sono controversie e contenziosi in atto. In questo caso, niente certificazione.

Si tratta, poi, di forniture e di lavori decisi da altri sindaci, da altri assessori e da altre giunte: chi oggi è in carica non ha nessun interesse a farsi in quattro per sistemare questioni così vecchie, di cui si dovrebbero soprattutto fare carico del rimborso, sia pure rateizzato, nei prossimi anni.

Una volta, ai tempi dei tempi, si doveva rilasciare una cauzione per accedere ai pubblici uffici: se qualcosa andava storto, la si incassava. Ora siamo in democrazia: ognuno che occupa una poltrona fa come crede, ordina lavori e forniture, e lascia pure il conto in sospeso, che dovrebbe pagare chi viene dopo.

Il cerino acceso dei crediti delle imprese non fa affatto paura: per smorzarlo basta un soffio, sussurrando quattro magiche parole: "Ma chi ti riconosce?"

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