L'eccezionalismo americano sta arrivando al capolinea, dopo un cinquantennio. E' l'unico Paese al mondo che dal 1971 ha avuto il privilegio assoluto di pagare le merci importate stampando carta moneta, approfittando del ruolo indispensabile del dollaro nella creazione della liquidità internazionale.
Fino al 1971, infatti, quando in agosto il Presidente americano Richard Nixon dichiarò unilateralmente la cessazione della convertibilità aurea del dollaro stabilita negli Accordi di Bretton Woods, Washington doveva cedere alle altre Banche centrali che ne facevano richiesta un'oncia d'oro per ogni 15 dollari che gli venivano versati indietro. Il dollaro, da allora, valeva in quanto tale: prendere o lasciare, non c'era alternativa. Non c'è mai stato bisogno, da allora, che la bilancia commerciale americana fosse in equilibrio, vendendo altrettanto.
Ma, ormai, la liquidità internazionale e le riserve delle banche centrali non usano solo il dollaro. Da anni, la Banca del Giappone stampa yen in continuazione, e li presta a tasso zero sul mercato per fare carry trade, approfittando a copertura del saldo commerciale attivo. Da due anni fa lo stesso la Banca Centrale Europea con il Quantitative Easing. Anche la Cina, ora ha intenzione di smarcarsi tanto dal dollaro che dall'euro, utilizzando in prospettiva il remninbi per le transazione commerciali con l'estero e soprattutto per finanziare gli enormi investimenti da avviare lungo la Via della Seta.
Gli Stati Uniti devono riequilibrare la bilancia commerciale, che è in passivo strutturale di circa 500 miliardi di dollari l'anno. La Cina, già due anni, non reinveste più gran parte del suo avanzo commerciale in titoli del Tesoro americano, e lo stesso sta facendo il Giappone. I capitali europei restano sull'euro, in vista di un aumento dei tassi di interesse in quest'area: non ha senso che i titoli di Stato italiani, ed addirittura quelli greci, rendano meno di quelli americani.
D'altra parte, c'è anche la recentissima riforma fiscale americana fortemente voluta dal Presidente Donald Trump, che aumenterà il deficit federale di circa 1500 miliardi di dollari in dieci anni, e richiederà un ulteriore accesso al mercato per lo stesso importo.
E' logico quindi che il dollaro ora si svaluti rispetto allo yen ed all'euro, mettendo in difficoltà soprattutto le esportazioni europee che avevano beneficiato in questi due anni della svalutazione dell'euro indotta dalla politica monetaria straordinariamente accomodante adottata della BCE. Il solo annuncio di “nuove misure monetarie” da parte del Governatore Mario Draghi, che fu dato al mercato il 2 aprile 2014 e che sottintendeva l'avvio del Qe da parte della BCE, portò ad un immediato abbattimento del cambio euro/dollaro: quest'ultimo si era svalutato, a partire dal giugno 2012, portandosi da quota 1,22 ad 1,38 per via delle grandi immissioni di liquidità da parte della Federal Reserve. Toccò all'euro, a quel punto, scendere di valore sul dollaro, che arrivò al cambio di 1,05 in coincidenza con l'avvio del Qe, nel marzo del 2015.
Adesso l'altalena tra euro e dollaro è ripresa, ma non c'è nessun motivo anche economico per evitare un rafforzamento dell'euro sul dollaro, visto che l'Eurozona ha un attivo strutturale della sua bilancia dei pagamenti verso l'estero che è di circa 40 miliardi di euro mensili, che corrispondono ad un po' meno di 500 miliardi di euro annui.
L'attivo dell'Eurozona fa quindi pari e patta con il passivo statunitense. Un attivo strutturale della bilancia dei pagamenti correnti da parte dell'Eurozona, anche se va attribuita per la gran parte all'attivo della Germania, non è sostenibile, così come non lo è il deficit strutturale con l'estero di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Qui sta la morsa dell'euro: una moneta troppo forte per la gran parte dei Paesi europei, ma troppo debole per la Germania. Una svalutazione del dollaro, che è passato in poche settimane a sfiorare il cambio di 1,25 sull'euro, creerà difficoltà a tutti i Paesi europei, non solo alla Germania.
La BCE, nella riunione del 25 gennaio, si è dichiarata preoccupata per questo andamento del cambio dell'euro, ritenendo che non vi sono ragioni solo endogene: la politica fiscale e monetaria americana ha un peso enorme. Se dovesse proseguire la svalutazione del dollaro, per la tenuta delle economie europee si riaprirebbe un periodo assai travagliato.
Il riequilibrio transatlantico, l'isolamento tedesco, le preoccupazioni della BCE.
Euro/dollaro: guerra e pace.