Il
crollo del petrolio e delle materie prime produrrà certamente una scia di vittime (bancarotte, ristrutturazioni del debito, recessioni nei paesi produttori) e continuerà a provocare vendite a qualsiasi prezzo di azioni e bond da parte dei fondi sovrani dei paesi produttori (una causa importante della discesa dell'azionario globale di questi giorni) ma continua a confermarsi come un
problema di eccesso di offerta e non è in nessuna misura (come invece insinuano giorno e notte ribassisti e pessimisti) un problema di domanda. La domanda infatti continua a crescere. I 23 milioni di auto venduti in Cina l'anno scorso (massimo storico) e i 18 venduti in America (massimo storico) non vanno a energia eolica e compensano, con la loro domanda di carburante, il calo del consumo per riscaldamento (l'inverno è molto caldo) e il ridimensionamento continuo dell'industria pesante cinese.
A proposito di
auto, ribassisti e pessimisti insistono molto sul fatto che le vendite in America, quest'anno e i prossimi, saranno più basse. Questo terrà
depresso l'intero settore manifatturiero e permetterà di potere tirare fuori la parola magica,
recessione.
Guardiamo allora i dati.
Il ricambio fisiologico richiede 15-16 milioni di nuove auto ogni anno, il livello di vendita del 2007. I 18 milioni del 2015 sono l'effetto degli acquisti rinviati a tempi migliori nel 2009-2010, quando si vendettero solo 9 milioni di auto. Che si torni a 15-16 è quindi normale e non può essere contrabbandato come l'anticamera di un nuovo 2008.
A fronte di questo declino, ben noto e già scontato, verosimilmente, nelle
quotazioni di borsa del settore, c'è il fatto che chi cambierà la macchina, nei prossimi anni, la prenderà più grossa. È quello che succede sempre quando il prezzo della benzina è basso. I margini sui Suv sono notoriamente molto più alti di quelli sulle utilitarie, per cui i profitti del settore non subiranno necessariamente contraccolpi seri.
Le vendite in Cina, d'altra parte, sono previste in costante aumento.
A proposito di
Cina, gli stessi che considerano spazzatura le statistiche cinesi hanno storto il naso per il fatto che
il Pil è cresciuto nel 2015 del 6.9 e non del 7 come previsto dal piano. Obiettivo mancato, hanno detto, crescita in continua decelerazione, gestione confusa e problemi strutturali intrattabili. Bene, i pessimisti saranno lieti di sapere che
dal 2016 al 2020 la Cina mirerà a stabilizzare la sua crescita sul livello del 6.5 per cento l'anno. Sempre meno crescita, quindi, ma su una base sempre più grande. Non sappiamo, ovviamente, se i policy maker cinesi riusciranno a conseguire il loro obiettivo, sappiamo però che faranno di tutto per raggiungerlo, come hanno fatto nel 2015 tra cori di gufi. Sarà terribilmente impegnativo, dal momento che si cercherà di non usare più la facile leva del credito a pioggia e di lasciare il più possibile al mercato il compito di produrre crescita, ma la dirigenza cinese ci si dedicherà con tutte le energie perché sa che su questo si giocherà il consenso e la legittimazione politica a governare.
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