Per avere un'idea di quanto lunghi e lenti possano essere questi processi basta ripercorrere le
due fasi storiche che precedono l'attuale.
La
prima, durata
dalla metà degli anni Trenta alla fine degli anni Settanta, è partita dalla lotta alla deflazione ed è riuscita nel suo intento attraverso politiche aggressive della domanda (welfare e riarmo).
Prezzi e salari sono rimasti stabili fino alla metà degli anni Sessanta, quindi trent'anni, poi il ketchup dell'inflazione ha cominciato a uscire sempre più copioso e incontrollabile una volta raggiunto il pieno impiego (in realtà qualche anno dopo).
La
seconda fase, il quarantennio che va
dal 1980 al 2019, è stata esattamente simmetrica. Per bloccare il ketchup
si è puntato tutto sulle politiche dell'offerta (flessibilizzazione del lavoro, detassazione, tecnologia, globalizzazione, ottimizzazione delle filiere produttive, immigrazione) e si è
tenuta sotto controllo la domanda pubblica (austerità, divieto di monetizzazione dei disavanzi pubblici). La manovra è riuscita fino al 2008, poi gli impulsi deflazionistici hanno cominciato a farsi troppo forti e si è dovuto di nuovo invertire tutto.
Oggi siamo nella terza fase, simile alla prima.
Si punta tutto di nuovo sulla domanda (spesa pubblica monetizzata, infrastrutture, green deal, riarmo) mentre si abbandonano una dopo l'altra le riforme dal lato dell'offerta che si erano predicate, imposte e adottate nella seconda fase. Ci si
deglobalizza, torna il
protezionismo (magari verniciato di verde come la carbon border tax che l'Unione Europea si prepara in tutta fretta ad adottare dal 2023),
si deflessibilizza il lavoro (forte aumento delle retribuzioni minime, risindacalizzazione, lotta ai gigs), si
aumenta la pressione fiscale, si crea ridondanza nelle filiere produttive.
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