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Guida ai rating: come leggere AAA, BBB, junk...

Finanza · 22 dicembre 2025 - 13.41
Quando accanto a un titolo di Stato o a un’obbligazione si legge AAA, BBB, o magari “junk”, ci troviamo di fronte a un giudizio sintetico sul profilo di rischio di quel preciso asset. Sintetizzato in poche parole, il mercato riceve un messaggio chiaro e limpido: quanto è probabile che quel soggetto ripaghi puntualmente i propri impegni. Comprendere cosa significa il rating, vuole dire avere uno strumento in più per decidere se un investimento risulta coerente con i propri obiettivi e, soprattutto, con la propria tolleranza al rischio.

Cos’è un rating finanziario, in pratica


Il rating è una valutazione standardizzata del merito creditizio di un emittente (uno Stato, una banca, un’azienda) o di uno specifico strumento di debito (ad esempio, un BTP o un’obbligazione societaria). In termini semplici, il rating esprime un giudizio sulla capacità e sulla volontà di onorare puntualmente interessi e capitale.

Il motivo per cui esiste? Il rating influenza il prezzo del denaro. Un soggetto percepito come rischioso dovrà offrire interessi più alti per convincere qualcuno a prestargli soldi. Succede con i mutui, succede con i titoli di Stato, succede con le obbligazioni delle imprese.

Per i mercati finanziari, il rating serve anche a creare un linguaggio comune. Invece di analizzare ogni volta da zero bilanci, scenari macroeconomici e piani industriali, investitori e gestori possono utilizzare quel giudizio sintetico come base di partenza per confrontare emittenti diversi e fissare soglie minime di qualità nei propri portafogli.

Chi decide il rating e come si arriva al giudizio


I rating pubblici sono emessi da agenzie specializzate. Le tre più influenti a livello mondiale sono:

  • Moody’s;
  • S&P Global Ratings (l’ex Standard & Poors’s);
  • Fitch Ratings.

A queste si aggiungono la canadese DBRS Morningstar, l'europea Scope Ratings ed altre agenzie europee di dimensioni minori.

Per effettuare la sua valutazione, l’agenzia parte da una grande raccolta di dati: bilanci, indicatori di bilancio, indebitamento, flussi di cassa, ma anche informazioni sul contesto in cui opera l’emittente, quindi situazione economica del Paese, stabilità normativa, posizione competitiva nel settore.

Gli analisti incontrano il management, fanno domande sui piani futuri, sui rischi principali, sulle strategie per affrontarli.

Una volta raccolte tutte le informazioni, l’analista prepara un rapporto interno con la propria proposta di rating. Questo documento non finisce direttamente sul mercato, ma viene discusso da un comitato di rating, cioè da un gruppo di persone con competenze diverse che valuta il materiale, ne discute gli elementi critici e alla fine vota il giudizio da assegnare. A decidere non è mai una singola persona.

Il rating viene comunicato all’emittente e, se non ci sono obiezioni particolari, viene pubblicato e reso noto al mercato.

Da quel momento, il giudizio viene monitorato e, se cambiano le condizioni dell’emittente o del contesto economico, può essere migliorato o peggiorato. Insomma, è molto normale vedere, nel tempo, promozioni e declassamenti che riflettono il ciclo economico o eventi specifici, come la crisi di un settore, cambiamenti politici o shock sui conti pubblici.

Accanto ai rating esterni delle agenzie, esistono i rating interni delle banche, richiesti dalla regolamentazione di Basilea per misurare il rischio di credito verso famiglie e imprese, e i modelli di analisi proprietari usati da fondi, assicurazioni e grandi investitori per affiancare e controllare le valutazioni delle agenzie.

Come leggere AAA, BBB… il significato delle sigle spiegato


Le scale usate dalle diverse agenzie non sono identiche, ma seguono tutte la stessa logica.

Le prime lettere, di solito A o B, indicano il livello generale di qualità. I segni “+” e “-”, oppure i numeri accanto alle lettere, servono solo a fare distinzioni più sottili dentro la stessa fascia.

Al top si trovano le valutazioni con Tripla A (AAA/Aaa), che indicano un rischio di insolvenza molto basso: la solidità dell’emittente è considerata massima.

Appena sotto ci sono le varie combinazioni con AA: soggetti molto solidi, ma un po’ più esposti a possibili shock di lungo periodo.
Scendendo nella graduatoria troviamo la fascia A, dove le capacità di rimborso sono buone, ma la vulnerabilità a condizioni economiche avverse è maggiore.

Il confine davvero importante arriva con la fascia BBB/Baa: qui si collocano gli emittenti considerati ancora affidabili, ma con margini di sicurezza meno ampi. Fino a BBB-/Baa3 si parla di investment grade, cioè titoli che possono entrare nei portafogli di molti investitori istituzionali che per regolamento possono acquistare solo debito di una certa qualità.

Sotto questo gradino si entra in un altro mondo: da BB/Ba in giù si parla di non investment grade o speculative grade. È qui che compaiono i famosi junk bond, i “titoli spazzatura”. Non significa che siano tutti destinati a fallire, ma che il rischio di default è significativamente più alto. Per renderli appetibili, insomma, devono offrire rendimenti molto più generosi.

Una componente spesso sottovalutata è l’outlook, cioè la prospettiva. Il rating dice dove si è oggi, mentre l’outlook suggerisce in che direzione si sta andando.

  • Outlook positivo: indica la possibilità di un miglioramento del giudizio nei prossimi anni;
  • Outlook negativo: segnala che l’agenzia vede rischi in aumento.
  • Outlook stabile: suggerisce che, salvo sorprese, non ci si aspettano cambiamenti nel medio periodo.

Per chi investe, osservare insieme livello di rating e outlook aiuta a capire se si sta salendo o scendendo di gradino.

Scala dei rating del credito: tabella sintetica



Fascia di ratingEsempi (S&P / Fitch / Moody’s)SignificatoLivello di rischio
Massima qualità AAA / Aaa Solidità eccellente. Rischio di insolvenza estremamente basso Minimo
Qualità molto alta AA+, AA, AA- / Aa1, Aa2, Aa3 Emittenti molto solidi, con lieve esposizione a shock di lungo periodo Molto basso
Buona qualità A+, A, A- / A1, A2, A3 Capacità di rimborso buona, ma più vulnerabile a condizioni economiche avverse Basso
Investment grade (soglia critica) BBB+, BBB, BBB- / Baa1, Baa2, Baa3 Ancora affidabili, ma con margini di sicurezza più ridotti. BBB- / Baa3 è l’ultimo gradino dell’investment grade Medio
Speculative grade (non investment grade) BB+, BB, BB- / Ba1, Ba2, Ba3 Rischio significativamente più alto. Non sono “da fallimento”, ma risultano molto più esposti Alto
High yield / Junk bond B+, B, B- / B1, B2, B3 Titoli altamente speculativi. Per attirare gli investitori offrono rendimenti molto elevati Molto alto
Quasi insolvenza / Vicino al default CCC+, CCC, CCC- / CC, Ca / Caa1, Caa2, Caa3 Probabilità di default elevata o imminente Estremo
Default D / C L’emittente non onora i pagamenti Default

Il caso Italia: cosa raccontano i rating sul debito pubblico


Proviamo ora a rendere tutto meno astratto, guardando al rating dell’Italia nel 2025. Tutte le grandi agenzie collocano il nostro Paese in area investment grade, ma con sfumature diverse.

Alcune (S&P Global Ratings e Fitch) hanno valutato l’Italia BBB+ con prospettive stabili, citando una gestione più ordinata dei conti pubblici e una maggiore capacità di reggere a shock esterni rispetto al passato recente.

Moody’s aveva mantenuto un giudizio un po’ più prudente, come Baa3, ma con outlook positivo, fino a metà novembre, quando c’è stato uno storico upgrade a Baa2 (con outlook stabile), certificando un miglioramento seguito ai progressi su deficit e debito.

Ci sono anche valutazioni più generose, come A (low), data da DBRS Morningstar, che collocano l’Italia un gradino sopra rispetto al giudizio medio.

Per uno Stato, tutto questo ha un effetto concreto: più il rating è alto, meno paga di interessi quando colloca i propri titoli sul mercato. Per chi compra BTP, il rating conferma che si sta investendo in un Paese abbastanza distante dalla zona junk, pur con un debito pubblico elevato e un’economia che resta esposta ai cicli internazionali.

Un altro effetto meno evidente, ma comunque importante, riguarda banche e grandi aziende italiane: spesso il rating sovrano fa da tetto, perché difficilmente una banca nazionale può essere considerata molto più sicura dello Stato in cui opera. Quando il rating del Paese migliora, spesso si muovono subito anche quelli di istituti di credito e imprese strategiche.

Cosa cambia per chi investe?


Il meccanismo di base è identico, ma l’impatto sul risparmiatore o sulla piccola impresa cambia a seconda del soggetto valutato.

  • Stati sovrani: il rating influenza il costo del debito pubblico e lo spread rispetto ai Paesi considerati più sicuri. Un declassamento significa, per esempio, che le nuove emissioni di titoli di Stato dovranno offrire rendimenti più alti per attirare compratori, con ricadute sulla spesa per interessi nel bilancio pubblico.
  • Banche: il rating è una misura di solidità complessiva e viene affiancato da giudizi specifici su singole emissioni. Chi utilizza conti correnti o conti deposito sotto i 100.000 euro in Unione europea può contare sui sistemi di garanzia dei depositi, ma il rating resta importante quando si comprano obbligazioni bancarie, soprattutto subordinate, che non godono di queste coperture.
  • Imprese non finanziarie: il rating è un biglietto da visita verso il mercato del credito. Un’azienda con rating elevato paga meno quando emette obbligazioni, ha accesso a una platea più ampia di investitori, può inserirsi nei portafogli di fondi che, per mandato, comprano solo titoli investment grade. Dal punto di vista di chi investe, la scala di rating aiuta a distinguere tra corporate relativamente difensive e titoli high yield che offrono cedole più alte, ma espongono a un rischio molto maggiore di perdita parziale o totale del capitale.

Come viene usato il rating da fondi pensione e investitori professionali


Il rating è uno strumento chiave anche per chi gestisce patrimoni istituzionali, come fondi pensione, assicurazioni, grandi fondi comuni.

Molti regolamenti interni prevedono soglie minime di rating per l’acquisto di determinate obbligazioni. Non è raro trovare, per esempio, regole che impongono di investire solo in titoli con rating non inferiore a BBB- o a un livello equivalente, oppure che limitano la quota di portafoglio destinabile a debito high yield.

Allo stesso tempo, la vigilanza (come quella esercitata dalla COVIP per i fondi pensione in Italia) ha chiarito che il rating non può essere usato in modo automatico. I gestori sono chiamati a integrare il giudizio delle agenzie con proprie analisi interne, verifiche sui fondamentali degli emittenti, valutazioni sulla liquidità dei titoli e sulla loro coerenza con gli obiettivi di lungo periodo.

Per i fondi pensione, in particolare, il rating rappresenta una base utile, ma la priorità resta proteggere il valore delle posizioni nel tempo, evitando di affidare tutto a un voto in lettere.

Quali sono i limiti dei rating?


Se i rating fossero perfetti, non ci sarebbero sorprese, ma la Storia ha dimostrato che non è così. Le critiche alle agenzie non sono mancate, soprattutto dopo i grandi scandali aziendali e la crisi finanziaria del 2008, quando molti strumenti complessi legati ai mutui subprime mantenevano valutazioni alte fino a poco prima del collasso.

Una delle questioni più delicate è il modello di business: spesso è l’emittente stesso a pagare per essere valutato. È il cosiddetto schema issuer pays. Questo può creare un potenziale conflitto di interessi: da un lato le agenzie devono tutelare la propria reputazione emettendo giudizi credibili, dall’altro hanno come clienti proprio i soggetti che vengono giudicati.

Per ridurre questo rischio, nel tempo sono state introdotte regole più severe su governance, gestione dei conflitti e trasparenza dei metodi. Le agenzie sono soggette a registrazione e vigilanza da parte delle autorità di mercato, devono dichiarare le metodologie usate e rendere pubbliche molte informazioni sui processi decisionali.

Un altro limite riguarda il modo in cui il mercato reagisce ai rating. Un declassamento può diventare prociclico: peggiora le condizioni di finanziamento proprio quando l’emittente è più fragile, contribuendo a sua volta ad aggravare i problemi. Dall’altro lato, rating troppo benevoli possono ritardare la percezione dei rischi e favorire bolle di credito che prima o poi si sgonfiano con violenza.

Come usare i rating in modo intelligente


Per chi investe o gestisce un’attività, l’obiettivo non è sostituirsi agli analisti, ma imparare a usare i rating come strumento di orientamento.

Ecco alcune piccole regole da seguire:

  1. Concentrarsi sulle fasce: la differenza tra BBB e BBB+ è meno rilevante della distinzione tra investment grade e non investment grade.
  2. Guardare più di un’agenzia e fare attenzione all’outlook: se due giudizi raccontano una storia simile, la fotografia sarà più aderente alla realtà, ma se sono distanti, bisogna approfondire. E l’outlook aiuta anche in questo senso.
  3. Inserire il rating nel quadro personale: occorre valutare orizzonte temporale, bisogno di liquidità, capacità di sopportare oscillazioni, obiettivi di lungo periodo. Un titolo con rating elevato può essere inadatto a chi cerca reddito immediato, ad esempio, così come un bond ad alto rendimento e rating basso può essere del tutto fuori contesto per chi punta a preservare il capitale.
Insomma, i rating non rappresentano una verità assoluta, ma sono uno strumento, un indicatore da guardare con attenzione e da contestualizzare con lo scenario attuale.
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