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Bibì e Bibò nei guai, tra manovrina e manovrona

Renzi e Padoan, insieme, nella tagliola della flessibilità

Era il luglio del 2014, quando l'Italia assumeva la Presidenza di turno dell'Unione Europea.

Il Premier Matteo Renzi, reduce da un trionfale successo elettorale sostenuto dalla concessione degli 80 euro in busta paga a milioni di lavoratori a basso reddito, chiedeva un'”Europa diversa”. Raccoglieva lodi unanimi e sperticate quando affermava che non si può regolamentare tutto nel dettaglio, da come va pescato il tonno o il pesce spada, spiegando al pescatore calabrese che non può intervenire con una determinata tecnica di pesca, ma poi, quando anziché discutere di pesci, nel mare ci sono i cadaveri, voltarsi dall'altra parte: “Questa Europa non è un'Europa degna di chiamarsi Europa di civiltà!”

In Parlamento tutti si spellarono le mani per gli applausi. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si illuse: il semestre italiano di presidenza dell'Ue non sarà una "mera celebrazione", perché l'Italia propone "un forte cambiamento delle politiche".

Renzi, invece, era già caduto in trappola: anzi, si era scavato da solo la fossa in cui si trova oggi. Chiedeva all'Europa la flessibilità nella applicazione delle clausole del Fiscal Compact, promettendo in cambio l'impegno ad approvare le riforme: dal Job Act alla riorganizzazione della Pubblica Amministrazione, dalla Buona scuola allo Sblocca Italia. In mille giorni avrebbe risolto tutti i problemi rimasti a marcire da anni, se non decenni.

Ma non era affatto una deroga alle norme sul pareggio strutturale e la riduzione del debito pubblico, quella che accettava: era un semplice rinvio. Renzi stesso, sempre in Parlamento, si chiedeva retoricamente: “Questo richiede il cambio di regole economiche in Europa? No! E' evidente però che lo scambio tra il processo di riforme e l'utilizzo di margini di flessibilità che ci sono già contenuti e che sono a disposizione dei Paesi membri è quello che è sempre accaduto.”

Renzi abboccò all'amo, rinunciò subito a quello che tutti chiedevano, ad un cambio di passo: non solo rigore, ma crescita ed occupazione Aveva solo comprato tempo, rinviando al futuro l'applicazione del Fiscal Compact. Le regole, quelle erano e quelle sono rimaste.

Le manovre correttive, tra tagli di spese ed aumenti di imposte, avevano portato l'Italia alla recessione: moltissime imprese sono fallite, migliaia di liberi professionisti si sono visti evaporare una carriera costruita con sacrificio.

Renzi non ha affrontato in tre anni il principale problema delle finanze pubbliche dell'Italia, che non è economico ma finanziario: l'enorme debito pubblico si porta appresso un onere rilevantissimo per interessi. Una parte delle tasse serve per pagare una quota degli interessi ed il deficit ne va a coprire la residua parte: l'Italia si indebita solo per pagare il costo del debito. E' una follia.

Ed un altro problema finanziario si è aggiunto, come eredità della crisi: le banche, chi più chi meno, traballano per via dei crediti incagliati. Renzi e Padoan hanno fatto, sempre insieme, pure l'errore di accettare una direttiva penalizzante per l'Italia sulle risoluzioni bancarie. Ed ora ci sono 20 miliardi in più di debito pubblico, contratto per salvare le Banche in difficoltà.

Ora i nodi sono venuti al pettine: c'è da fare una manovrina correttiva in primavera, dello 0,2% del PIL, ed una manovrona in autunno di circa 20 miliardi di euro. Gli aumenti dell'Iva sono già stati decisi con le cosiddette “clausole di salvaguardia”: entrano automaticamente in vigore se non sono sostituiti da altre misure di importo equivalente. In questi anni, usando proventi una tantum, ne è stata rinviata la operatività. Ora, la flessibilità è finita: serve arrivare al pareggio strutturale, e non bastano più coperture temporanee.

Renzi non vuole nessun aumento dell'Iva, perché minerebbe quel poco di ripresa che c'è. Con le elezioni in vista, sarebbe un disastro.

Padoan ha una reputazione da difendere, e si barcamena tra tagli alle detrazioni fiscali e revisioni degli estimi catastali. La Commissione europea ha già preannunciato che aprirebbe una procedura di infrazione, con conseguenze devastanti sul debito pubblico.

Confindustria, per di più, deve fare il rinnovo dei contratti di lavoro, e punta ad una riduzione del cuneo fiscale per finanziarselo a costo zero: invece di pagare imposte allo Stato, girerebbe l'importo di sgravio fiscale nella busta paga del lavoratore.

E se il Movimento 5 Stelle dilaga, se gli scissionisti del PD non raccolgono che magri consensi, è proprio per questo: il Governo Renzi ha trovato coperture temporanee per il deficit, ha beneficiato della consistente riduzione dell'onere per interessi derivante dalla politica monetaria accomodante della BCE, ma si ritrova con gli stessi problemi di tre anni fa. Le imprese hanno effettuato nuove assunzioni finché c'era il beneficio della decontribuzione previdenziale: poi, tutto si è fermato.

Aver rinunciato ad una modifica del Fiscal Compact, accettando la flessibilità, è stata una vittoria di Pirro: Renzi si è scavato la fossa da solo. Si è gongolato per mesi e mesi degli incontri a tre, con Francois Hollande ed Angela Merkel.

Ora il tempo è scaduto: Bibì e Bibò nei guai, tra manovrina e manovrona.
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