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Dieci anni di assoluta follia

Dal sadismo sociale alla liquidità inutile

Prima segano gli alberi, poi si lamentano che, anche innaffiando continuamente, non crescono più.

Parliamo di casa nostra, intanto, dell'Italia. Siamo stati presi in giro, truffati, da tutti coloro che hanno predicato la deflazione salariale come metodo per recuperare la competitività all'estero e l'austerità come cura necessaria per ridurre il debito pubblico.

Le cure che ci sono state somministrate hanno prodotto danni immensi, irrecuperabili: la stretta fiscale è stata infernale, i tagli degli investimenti pubblici hanno bloccato l'attività economica, la patrimoniale sulle case ne ha fatto crollare il valore sul mercato. Più disoccupati e più poveri. L'obiettivo era proprio questo: creare artificiosamente una crisi economica, per aumentare il livello di disoccupazione. Solo così si sarebbe tornato ad assumere, ma a costi più bassi. Salari inferiori avrebbero assicurato una maggiore competitività sull'estero, rilanciando le esportazioni. Nel frattempo, la riduzione della domanda interna avrebbe ridotto anche l'import. Per accelerare questa sostituzione dell'import con l'export, si arrivò perfino ad aumentare l'IVA, ed a prevedere ulteriori aumenti con le cosiddette clausole di salvaguardia: in questo modo, tutti i consumi interni vengono scoraggiati, mentre alle imprese conviene esportare nei Paesi in cui l'IVA è più bassa.

L'aumento delle tasse e la riduzione delle spese pubbliche avrebbe inoltre ridotto il deficit e quindi la tendenza del debito pubblico a crescere. Il fatto è che le dosi della medicina sono state violente: gli effetti recessivi sull'economia reale sono stati di gran lunga superiori alle attese. Si è prodotto un effetto paradossale anche sul rapporto debito/PIL: se, ad esempio, ho un deficit del 2% del PIL, ed il PIL aumenta del 2%, il rapporto rimane stabile. Se invece ho un deficit del 2% del PIL, ed il PIL rimane stabile, il rapporto aumenta del 2%. Ma per disgrazia se ho un deficit del 2%, ed il PIL diminuisce del 2%, il rapporto peggiora del 4%. Ecco quello che è successo: il rapporto debito/PIL è andato alle stelle, visto che siamo ormai al 132%, per il contemporaneo permanere di un deficit contenuto e per il crollo del denominatore.

Non basta ancora: abbiamo messo nei guai anche le banche. Ora sono tutti pronti a dire che c'era del malaffare, del familismo nella concessione dei prestiti. Ma, se andiamo a ben vedere, le perdite sono state enormi per tutte le banche, grandi e piccole. Il Monte dei Paschi ha rischiato il fallimento per via della acquisizione di Antonveneta, pagata 8 miliardi di euro al Banco Santander senza contare i debiti che quest'ultima aveva in pancia verso la precedente proprietà. In intere regioni, come il Veneto, le Marche e la Toscana, interi comparti produttivi sono evaporati. Il salvataggio delle due banche venete e del MPS ci costerà almeno 20 miliardi di euro: più o meno quelli che abbiamo risparmiato tagliando gli investimenti pubblici. Invece di un salutare salasso, è stata una emorragia mortale.

Se da una parte c'è stato il Fiscal Compact, con l'obiettivo del pareggio di bilancio, dall'altra la politica monetaria della BCE è stata scriteriata: all'inizio della crisi diede un formidabile aiuto alle banche del nord europa, anticipando liquidità a fronte di collaterali in titoli di Stato. Poi, nel 2011, decise che era ora di chiudere i rubinetti: la exit strategy prevedeva un rialzo dei tassi, con le prime due manovre da un quarto di punto percentuale adottate a marzo ed a luglio. Tutto questo avveniva mentre il Portogallo entrava in crisi e gli spread italiani salivano a vista d'occhio. Quello che stava succedendo era evidente: per rimborsare la liquidità alla BCE, le banche del nord europa vendevano titoli di Stato, preferibilmente quelli che pagavano cedole più alte e che facevano maturare plusvalenze. Invece di essere una exit strategy dalla crisi americana, si spalancarono le porte alla speculazione, con l'Italia presa di mira.

L'arrivo di Mario Draghi alla BCE fu provvidenziale, ma non risolutivo: a settembre del 2011, appena insediatosi, abbassò il tasso di riferimento; ed a cavallo tra la fine dell'anno e l'inizio del 2012 decise di erogare liquidità illimitata a tre anni, facendola pagare appena lo 0,25%. Ne approfittarono le banche dei Paesi più in difficoltà, come l'Italia, usandola per sottoscrivere titoli del debito pubblico. Ma rimanevano le anticipazioni delle banche del nord Europa da restituire: queste nuove manovre della BCE erano a saldo zero, non liquidità aggiuntiva, fino a marzo 2015, quando si decise il varo del Qe da 80 miliardi di euro al mese. Nel fattempo, dal luglio 2012 la liquidità continuò a diminuire, di circa 10 punti del PIL dell'Eurozona. Con una mano si metteva liquidità: con le Ltro triennali, con le T-Ltro condizionate all'erogazione di prestiti ma con il divieto di erogare mutui immobiliari, con l'acquisto di Covered bond e di Mortgage backed security. Ma con l'altra mano, invece, se ne ritirava molta di più.

Si cumularono così gli effetti recessivi delle manovre fiscali con la rarefazione della liquidità. E' stato così che la BCE si è messa a comprare titoli di Stato, a rotta di collo: ha comprato tutto quello che era stato venduto dalle banche del nord Europa per rimborsare la liquidità prestata loro nel 2008-2009, ed in aggiunta quelli che le banche del sud Europa non potevano più detenere, visto che le operazione Ltro triennali, lanciate tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012, andavano a scadenza.

La Banca centrale europea, per il tramite delle singole banche nazionali, si è sostituita al mercato nella detenzione dei titoli di Stato: sia quelli tedeschi, che hanno rendimenti negativi e che erano detenuti da stranieri come impiego sicuro, sia quelli degli altri Paesi come l'Italia o la Spagna, che negli anni precedenti alla crisi erano detenuti con grande soddisfazione dagli investitori del nord Europa, per via degli alti tassi di interesse.

Ma la enorme liquidità ristagna: le banche chiedono un corrispettivo per la tenuta dei conti di deposito, visto che sulle detenzioni ulteriori rispetto alla riserva obbligatori deve pagare lo 0,40% annuo alla BCE. I salari sono fermi, per via della competizione interna ed internazionale. La domanda interna non tira, per via della prudenza delle imprese e delle banche, e soprattutto del freno a mano tirato dai bilanci pubblici. Anche i risparmiatori non spendono, per paura del futuro. Per evitare rischi e non alimentare bolle, nessuno si espone. Ora, anche l'export verso i Paesi non appartenenti all'euro potrebbe avere difficoltà per via dell'indebolimento del dollaro.

Gli istituti di statistica continuano a dire che la ripresa c'è e si consolida. I governi cercano di rinviare le manovre correttive, per non bruciare quel po' di crescita che c'è.

A dieci anni di distanza, l'unico risultato chiaro, per noi italiani, è che abbiamo subito un accanimento indicibile che ha colpito tutti: i lavoratori, gli imprenditori, le imprese e le banche. La stessa Pubblica amministrazione è stata smantellata a furia di riforme, mentre il debito non è mai stato così alto.

Prima segano gli alberi, poi si lamentano che, anche innaffiando continuamente, non crescono più. Dal sadismo sociale alla liquidità inutile.

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